La nozione di figlio, nel contesto della libera circolazione dei lavoratori, deve essere legata ad aspetti economici, come il mantenimento e non al mero dato formale. E’ quanto risulta dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea depositata il 15 dicembre (cause riunite da C-401/05 a C-403/05, C-401). A rivolgersi agli eurogiudici, la Corte amministrativa del Lussemburgo che era alle prese con una controversia tra alcuni studenti, figli del coniuge o del partner registrato di un lavoratore frontaliero cittadino Ue che lavorava in Lussemburgo, e il Ministero dell’Istruzione. Quest’ultimo aveva negato un sussidio finanziario statale per la frequenza di studi superiori. In base alle regole interne, gli studenti non residenti in Lussemburgo possono beneficiare di un sussidio economico se figli di un lavoratore subordinato o autonomo di un cittadino dell’Unione o dello Spazio economico europeo, ma il ministero aveva escluso questo beneficio perché il cittadino dell’Unione era lavoratore frontaliero e padre acquisito. Per le autorità amministrative, in sostanza, i richiedenti non potevano essere qualificati come figli. La Corte di giustizia Ue, partendo dall’interpretazione dell’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che assicura la libera circolazione dei lavoratori e dal regolamento n. 492/2011, tenendo conto che il finanziamento degli studi dei figli è un vantaggio sociale, ha stabilito che esso va attribuito sia al lavoratore migrante sia a quello transfrontaliero, nonché ai beneficiari indiretti ossia i familiari del lavoratore migrante. In caso contrario, sarebbe compromesso il principio in base al quale un lavoratore di uno Stato membro deve godere degli stessi benefici dei lavoratori cittadini dello Stato. Già in passato, la Corte ha avuto modo di chiarire che il diritto di stabilimento dei discendenti spetta sia ai discendenti del lavoratore sia a quelli del coniuge, proprio per non intaccare l’obiettivo del regolamento n. 1612/68 e poi della direttiva 2004/38 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che ha stabilito in modo espresso l’inclusione dei discendenti a carico del coniuge o del partner. Con riguardo alla nozione di figlio ai fini dell’applicazione delle regole contenute negli indicati atti, la Corte ha considerato centrale il mantenimento garantito dal lavoratore frontaliero ai figli acquisiti, passando la parola ai giudici nazionali che devono procedere a un esame basato su elementi oggettivi senza, però, che sia necessario “stabilire le ragioni del sostegno”, né quantificare l’entità in modo preciso. Così, la Corte Ue ha concluso che il cittadino Ue, lavoratore frontaliero, che provvede al mantenimento del figlio del coniuge o del partner registrato, nato da un’altra un’unione, ha diritto ad ottenere tutti i vantaggi sociali previsti dall’ordinamento nel caso di discendenti diretti.
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