La Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza del 21 giugno, causa C-621/15 (C-621:15), ha sancito che l’assenza di prove scientifiche che stabiliscano o escludano il nesso tra la somministrazione di un vaccino e l’insorgenza di una malattia non impedisce al giudice nazionale, che deve pronunciarsi sul danno provocato a un paziente, di accertare la responsabilità del produttore se ci sono indizi gravi, precisi e concordanti. La direttiva 85/374 sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (modificata dalla 99/34), recepita in Italia con Dlgs n. 25/2001, poi sostituito dal codice del consumo, infatti, “non aspira a un’armonizzazione completa del settore della responsabilità per danno da prodotti difettosi al di fuori degli aspetti che essa disciplina” e lascia spazio, così, alle scelte statali. Pertanto, gli Stati membri oltre a stabilire le modalità di assunzione delle prove e i mezzi di prova ammissibili dinanzi al giudice nazionale competente, possono fissare “i principi che presiedono alla valutazione, da parte di detto giudice, dell’efficacia probatoria degli elementi di prova al suo esame, nonché lo standard probatorio richiesto”.
Il rinvio pregiudiziale è arrivato dalla Cassazione francese alle prese con una controversia tra due donne che avevano avviato un’azione, anche in quanto eredi del familiare poi deceduto, contro la Sanofi Pasteur e una cassa autonoma pensionistica e previdenziale. L’uomo, dopo aver effettuato il vaccino contro l’epatite B, aveva manifestato alcuni disturbi e, in seguito, i medici gli avevano diagnosticato la sclerosi multipla per la quale, l’uomo, rimasto invalido, era poi morto. Sia l’uomo sia i congiunti avevano presentato un ricorso contro la Sanofi Pasteur sostenendo che la concomitanza tra vaccino e insorgenza della malattia e l’assenza di precedenti familiari e personali della patologia erano indizi gravi, precisi e concordanti circa l’esistenza di un difetto del vaccino. Il Tribunale di prima istanza di Nanterre aveva dato ragione ai ricorrenti, ma il verdetto era stato ribaltato in appello. La Corte di cassazione si è rivolta agli eurogiudici per un chiarimento su alcune disposizioni della direttiva 85/374. Per la Corte Ue, l’articolo 4, in base al quale “il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale tra difetto e danno”, non regola le questioni relative all’assunzione delle prove che il danneggiato deve fornire per ottenere una dichiarazione di responsabilità del produttore. Pertanto, per Lusssemburgo, è ben possibile che un ordinamento statale disponga che la prova dell’esistenza di un difetto del vaccino e del nesso di causalità con il danno subito possa risultare da “presunzioni gravi, precise e concordate soggette al libero apprezzamento del giudice di merito”. Anche perché, in caso contrario, “in un numero elevato di situazioni” risulterebbe “eccessivamente difficile o…impossibile l’affermazione della responsabilità del produttore, in tal modo compromettendo l’effetto utile della direttiva”. La Corte ha tuttavia chiarito che non è compatibile con il diritto Ue un regime che sia “troppo poco esigente” o che dia uno spazio troppo ampio a presunzioni immediate e automatiche. Pertanto, Lussemburgo richiede che gli indizi prodotti “siano effettivamente sufficientemente gravi, precisi e concordanti” in modo da giustificare la conclusione che il danno sia provocato da un prodotto e sia il difetto sia il nesso di causalità siano “ragionevolmente” dimostrati. Non è invece compatibile con la direttiva l’affermazione di un regime probatorio che, in assenza di certezze mediche, comporti che il nesso di causalità tra danno e prodotto sia considerato sempre dimostrato in presenza di alcuni indizi fattuali predeterminati.
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