La lotta all’assenteismo non può essere realizzata calpestando i diritti dei lavoratori disabili, in violazione della direttiva 2000/78 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, recepita in Italia con il Dlgs n. 216/2003. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata il 18 gennaio nella causa C-270/16 (C-270:16). E’ stato il Tribunale del lavoro di Cuenca (Spagna) a chiedere aiuto agli eurogiudici a seguito del ricorso di un dipendente di un’impresa di pulizia che contestava il licenziamento deciso dal suo datore di lavoro. L’uomo, affetto da una disabilità dovuta a una grave obesità, era stato assente in modo intermittente per malattia. Malgrado la sua assenza fosse giustificata, l’azienda lo aveva licenziato perché il periodo complessivo di lontananza dal lavoro superava il massimo previsto dallo statuto dei lavoratori. Così la controversia era arrivata in Tribunale e poi alla Corte Ue. Prima di tutto, Lussemburgo ha delineato i contorni e gli obiettivi della direttiva che punta a un’eliminazione su larga scala delle discriminazioni sulla base della disabilità. Anche per raggiungere questo risultato, la nozione di disabilità non è affidata ai singoli Stati membri, ma è propria dell’ordinamento Ue che la considera come una limitazione di capacità che può ostacolare la partecipazione effettiva alla vita professionale “su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori”. Nel caso in esame, il lavoratore aveva una grave obesità che, a causa della mobilità ridotta, rientra nella nozione di “handicap”. Ed invero, per la Corte, se un ordinamento nazionale, nella normativa in materia di licenziamento, tratta nello stesso modo le persone disabili e quelle non affette da alcuna limitazione, commette una “disparità di trattamento direttamente basata sulla disabilità”. La direttiva, inoltre, vieta un’assimilazione “pura e semplice della nozione di handicap a quella di malattia” e, quindi, se una patologia legata a una disabilità è considerata “nella nozione generale di malattia”, lo Stato incorre in un una discriminazione indiretta Giusto combattere l’assenteismo sul lavoro che ha un ingente costo per le imprese, ma i mezzi utilizzati devono essere proporzionali e non andare al di là di quanto necessario al perseguimento di un obiettivo legittimo.
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pattyf59
marzo 14, 2018sono invalida con inabilità lavorativa al 74% per più patologie tra le quali lo stato di obesità grave e tutto certificato da una commissione medica dell’INPS , mi fa piacere leggere quanto sopra scritto e quanto dichiarato dalla Corte di Giustizia Europea, ma non spiego come mai trovandomi in una situazione di comporto malattia riferito agli anni 2012/13/14/15 (lavoro presso un Tribunale come assistente giudiziario) dove mi sono stati conteggiati giorni di assenza malattia contrassegnati in diagnosi con la dicitura “Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta” e fatta detrazione fino al 50% dello stipendio. La Direttiva 2000/78 in Italia non viene rispettata? da quello che leggo non dovrebbero entrare nel conteggio del comporto tale giornate e quantomeno le detrazioni dovrebbero essere fatte in modo conforme allo stato di invalidità, senza parlare poi di quello che subisce , tra umiliazioni e ingiustizie un impiegato dello Stato , e pensare che lavoro presso un Tribunale! mi piacerebbe avere una risposta grazie