Sarà la Corte di giustizia dell’Unione europea a chiarire se le regole Ue impediscono agli Stati l’adozione di norme interne che prevedono, come misura alternativa al trattenimento del richiedente protezione internazionale, la prestazione di una garanzia finanziaria fissa. La Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con due ordinanze analoghe, la n. 3562 e 3563 depositate l’8 febbraio (3562), ha deciso di sollevare la questione pregiudiziale d’interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
Il Tribunale di Catania, con decreto del 29 settembre 2023, aveva deciso di non convalidare un provvedimento di trattenimento emesso dal Questore della provincia di Ragusa nei confronti di un migrante, arrivato a Lampedusa e poi condotto a Pozzallo. L’uomo aveva presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Il Questore di Ragusa, poiché l’uomo non aveva prestato idonea garanzia finanziaria, come previsto dal decreto legge n. 20 del 2023, convertito con legge n. 50 del 2023, ne aveva disposto il trattenimento. Tuttavia, il Tribunale di Catania, poiché il trattenimento è una misura eccezionale che incide sulla libertà personale e poiché la Corte di giustizia, con la sentenza del 14 maggio 2020, nelle cause riunite C-924/19 e C-295/19 ha stabilito che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33 devono essere interpretati “nel senso che ostano a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità”, aveva annullato il provvedimento del Questore. Il Ministero dell’Interno e la Questura hanno così impugnato il decreto del Tribunale di Catania.
Prima di tutto, la Corte di Cassazione ha accertato l’ammissibilità del ricorso proprio perché il trattenimento è una misura che limita la libertà personale ed è così suscettibile di ricorso in cassazione per violazione di legge, secondo l’articolo 111, comma 7 della Costituzione. Dopo aver richiamato le norme applicabili al caso di specie, la Cassazione si è soffermata sull’articolo 9 della direttiva 2013/33 che si occupa delle garanzie per i richiedenti trattenuti. Sul punto, la Cassazione ritiene necessario sollevare una questione pregiudiziale d’interpretazione proprio per l’individuazione dei limiti al trattenimento e le modalità con le quali può essere disposto. L’inserimento dell’articolo 6-bis nel decreto legislativo n. 142/2015 con il quale è stata recepita la direttiva 2013/33 pone diverse questioni alla luce della lettera e dello scopo della direttiva. Quest’ultima vieta il trattenimento per il solo fatto che il richiedente non può fare fronte alle proprie necessità e impone che venga adottata una decisione motivata nel rispetto del principio di necessità e di proporzionalità. Di conseguenza, il trattenimento è considerato, nel contesto Ue, come una misura eccezionale, applicabile solo nei casi in cui non sia possibile disporre misure alternative meno coercitive. L’articolo 8, paragrafo 4 della direttiva prevede la possibilità di stabilire una garanzia finanziaria, oltre alla consegna del passaporto, ma questo solo dopo aver effettuato un’analisi caso per caso, con la conseguenza che il provvedimento di trattenimento deve essere adeguatamente motivato. Così, appare contraria al diritto Ue “una normativa nazionale che sia interpretata e applicata nel senso che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente, e ancora più che sia trattenuto perché non abbia prestato idonea garanzia finanziaria, stabilita in maniera rigida e non adattabile alla situazione individuale”. Proprio perché la legislazione nazionale sembra presentare questi difetti in quanto presuppone un importo fisso, stimato ex ante “e parametrato alla somma ritenuta pari a quanto occorrente per sovvenire alle esigenze di alloggio e di sostentamento del richiedente, nonché all’eventuale suo rimpatrio”, senza possibilità di considerare la situazione individuale e consentire così di evitare discriminazioni, la Cassazione ha sospeso il procedimento e chiesto l’intervento della Corte Ue, con procedura d’urgenza, sull’interpretazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33.
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