La Corte di Cassazione interviene sulla corretta individuazione del giudice competente a pronunciarsi su una procedura di fallimento nel caso di trasferimento di sede dall’Italia in un altro Stato membro. La prima sezione civile, con ordinanza n. 13368 depositata il 16 maggio (ordinanza), ha respinto il ricorso del socio di un’azienda italiana che si era trasferita in Bulgaria ed era stata dichiarata fallita in Italia, poco dopo il trasferimento. Il Tribunale di Benevento prima, e la Corte di appello poi, avevano riconosciuto la giurisdizione italiana, così come ha fatto la Cassazione, secondo la quale era pacifico che nel caso in esame non potesse operare la presunzione di coincidenza tra il COMI, che per il ricorrente non era più in Italia, ma in Bulgaria e la nuova sede legale. Per la Suprema Corte, infatti, secondo il regolamento Ue, come interpretato anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, poiché la sede legale non è stata trasferita dall’Italia alla Bulgaria prima dei tre mesi antecedenti il ricorso per la dichiarazione di fallimento, la competenza è dei giudici italiani perché al momento dell’iniziativa dell’iter di fallimento il trasferimento di sede era stato solo deliberato dall’assemblea dei soci, ma non era opponibile ai terzi e riconoscibile dai creditori.
Al centro della pronuncia, il regolamento (UE) 2015/848 relativo alle procedure di insolvenza, modificato dal 2021/2260 che ha sostituito gli allegati A e B, il quale dispone, in base all’articolo 3, che la competenza per aprire la procedura d’insolvenza sia attribuita ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore che, ai sensi del considerando 31, “è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”. L’articolo 3, inoltre, inserisce una presunzione relativa secondo la quale per le società e le persone giuridiche il centro degli interessi principali è quello in cui si trova la sede legale. L’indicata presunzione, però, “si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre mesi precedente la domanda di apertura della procedura di insolvenza”. In questo modo, il legislatore Ue ha inteso fronteggiare il forum shopping. Il Tribunale e la Corte di appello avevano respinto la tesi del socio ricorrente secondo il quale la presunzione era sostanzialmente assoluta. Nel caso in esame – scrive la Cassazione – la società debitrice, nel momento in cui era stato proposto il ricorso per fallimento, “risultava in fase di cancellazione dal registro delle imprese italiano” e, quindi, il trasferimento della sede non si era nemmeno ancora perfezionato, con la conseguenza che le scelte dell’imprenditore non erano conoscibili dai terzi, requisito indispensabile in base alle regole UE. La Cassazione, inoltre, considera irrilevanti le ragioni del ritardo e ritiene che la società debitrice avrebbe dovuto dimostrare l’abitualità e la riconoscibilità “da parte dei terzi, del luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi”. Solo così, infatti, sarebbe stato rispettato l’articolo 3 del regolamento che mette in primo piano il requisito della rilevanza esterna. Ciò, nel caso in esame, non era avvenuto e, quindi, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la giurisdizione italiana e respinto la tesi del ricorrente circa la sussistenza della giurisdizione bulgara per il solo fatto che la sede era stata trasferita in Bulgaria.
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