L’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo con due decisioni del 16 gennaio, diffuse ieri relative a due casi contro l’Italia (ricorsi n. 60633/16 CACCIATO v. ITALY e n. 50821/06, GUISO AND CONSIGLIO v. ITALY). I giudici internazionali hanno dato ragione all’Italia e dichiarato i ricorsi inammissibili.
Le vicende interne, con aspetti analoghi, avevano avuto il via dall’espropriazione (in un caso si è trattato di occupazione appropriativa), con differenti modalità, di terreni dei proprietari, in due Comuni differenti. Dall’indennizzo era stato detratto il 20% dell’importo a titolo di imposta. Una situazione che, secondo i ricorrenti, aveva determinato una perdita patrimoniale rispetto al valore di mercato del terreno e, quindi, una violazione dell’articolo 1. Una tesi che, però, non ha convinto la Corte europea. Strasburgo ha riconosciuto che l’indennità corrisposta dalle amministrazioni dopo un’espropriazione rientra nel diritto di proprietà tutelato dal Protocollo n. 1, ma gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento perché devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali. Inoltre, l’imposta fissata non può essere classificata come un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario anche perché l’importo non era proibitivo per i ricorrenti. La cifra da versare, infatti, – osserva la Corte europea – non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non ha intaccato l’entità in relazione al valore di mercato dei terreni e non ha compromesso la situazione finanziaria dei ricorrenti. Non solo. L’imposta non è stata di misura tale da rendere nullo l’indennizzo concesso e non ha ricondotto nelle tasche dello Stato l’importo ottenuto dai ricorrenti. Le autorità nazionali, inoltre, hanno offerto ai ricorrenti la possibilità di scegliere tra il pagamento della ritenuta del 20% a titolo di imposta o procedere al pagamento della tassazione in base alle entrate dichiarate nella dichiarazione dei redditi. Di qui la conclusione dell’assenza di violazione da parte dell’Italia che ha raggiunto un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali.
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