Sul terrorismo internazionale e, in particolare sulla qualificazione del reato di arruolamento, è intervenuta la Corte di cassazione, prima sezione penale, con la sentenza n. 40699 depositata il 9 ottobre (arruolamento). Per la Suprema corte, con riguardo al reato di cui all’articolo 270 quater del codice penale, la nozione di arruolamento è equiparabile a quella di ingaggio che comporta un “serio accordo” tra un soggetto che propone atti di violenza o sabotaggio finalizzati al terrorismo e colui che aderisce. Nel caso all’attenzione della Cassazione, il giudice per le indagini preliminari aveva accolto l’istanza del pubblico ministero per la custodia cautelare in carcere di un cittadino albanese accusato di aver arruolato alcuni individui nel gruppo terroristico dello “Stato islamico”. Il Tribunale di Brescia aveva annullato il provvedimento e rimesso in libertà l’indagato. Secondo il Tribunale l’arruolamento comporta l’effettiva iscrizione nei ruoli del servizio militare che, nel caso di specie, non si era realizzata. Tesi alla quale la Cassazione non ha aderito perché l’articolo 270 quater va interpretato tenendo conto delle fonti sovranazionali come la Convenzione europea sulla prevenzione del terrorismo del 16 maggio 2005 che punisce la continguità associativa. Di conseguenza – conclude la Suprema Corte – la punibilità non può essere esclusa solo sulla base del “mancato inserimento dell’aspirante nelle fila di un gruppo militare”. A ciò si aggiunga che per la Cassazione non può essere esclusa “la realizzazione in forma tentata del delitto di arruolamento” e che nell’interpretazione della norma va tenuto conto della differenza tra arruolamento e reclutamento presente nella legislazione italiana anche a seguito dell’adozione della legge n. 210 del 12 maggio 1995 di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 4 dicembre 1989.
Pertanto, la Cassazione, non ritenendo condivisibile la prospettazione e l’inquadramento dogmatico del Tribunale che posiziona la consumazione del reato in una fase successiva a quella dell’accordo, ha annullato la pronuncia e rimesso gli atti al Tribunale di Brescia.
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