Le sanzioni pecuniari disposte dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) vanno considerate come penali e, di conseguenza, va applicato l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che individua le regole sull’equo processo. Tuttavia, l’Italia, malgrado il procedimento dinanzi all’AGCOM non abbia rispettato tutti i requisiti previsti dall’articolo 6, idonei a garantire l’equità del procedimento, non ha violato l’indicata disposizione perché i destinatari della sanzione hanno potuto impugnare il provvedimento sanzionatorio dinanzi a un giudice amministrativo. Questo procedimento, infatti, mette l’Italia al riparo da possibili violazioni dell’articolo 6 della Convenzione europea. Con la sentenza del 10 dicembre 2020, Edizioni Del Roma Società Cooperativa A.R.L. e altra contro Italia (ricorsi n. 68954/13 e n. 70495/13, AFFAIRE EDIZIONI DEL ROMA SOCIETA COOPERATIVA A.R.L. ET EDIZIONI DEL ROMA S.R.L. c. ITALIE), la Corte di Strasburgo, così, ha respinto il ricorso di alcune società secondo le quali le sanzioni pecuniarie inflitte dall’AGCOM, con consequenziale perdita dei finanziamenti pubblici, erano in contrasto con la Convenzione. Sia il Tribunale amministrativo di Roma, sia il Consiglio di Stato avevano rigettato i ricorsi avviati dalle due società che si sono rivolte a Strasburgo.
La Corte europea, in primo luogo, ha osservato che la qualificazione interna delle sanzioni pecuniarie AGCOM come amministrative non è l’unico elemento da prendere in considerazione perché, come stabilito sin dalla sentenza Engel, per classificare un procedimento e una sanzione come penale, va considerata non solo la qualificazione giuridica della misura sul piano interno, ma anche la natura e il grado di severità della sanzione. Di conseguenza, tenendo conto della severità e della natura della sanzione che ha impedito alle società l’accesso ai finanziamenti pubblici e delle conseguenze patrimoniali importanti sulle ricorrenti, dette sanzioni rientrano tra quelle penali. Se è vero, poi, che le società non avevano ricevuto i documenti che contenevano i motivi sui quali si era fondato il provvedimento e che lo stesso procedimento si era svolto in forma scritta, senza udienze pubbliche, è anche vero che l’obbligo di tenere pubbliche udienze non è assoluto. Tuttavia, per Strasburgo, in un caso come quello in esame in cui è in gioco l’accertamento del controllo delle società ricorrenti, un’udienza pubblica era necessaria. Non solo. Per la Corte, il procedimento dinanzi all’AGCOM presenta troppe difformità rispetto agli standard richiesti dall’articolo 6, con particolare riguardo all’uguaglianza tra le parti e alla necessità di una pubblica udienza. Detto questo, però, per i giudici internazionali l’indicata disposizione non è stata violata perché i giudici amministrativi, a seguito del ricorso delle due società destinatarie della sanzione, hanno potuto controllare non solo la legittimità del provvedimento, ma anche il merito e la proporzionalità della misura disposta nei loro confronti. Così, grazie alla circostanza che è stato assicurato, seppure in una fase successiva, un controllo dinanzi ad organi giurisdizionali, l’Italia non ha violato la Convenzione.
Patrik Pappalardo
gennaio 12, 2021Alla luce di tale sentenza della Corte di Strasburgo, nonostante il successivo controllo giurisdizionale dei
giudici amministrativi italiani, T.A.R. e Consiglio di Stato, il problema resta aperto.
In futuro la giurisprudenza della Corte di Strasburgo tornerà sul rispetto dell’art. 6 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo sull’equo processo, e sicuramente produrrà ulteriori interpretazioni
sul rispetto dell’equo processo e della natura penale di tali sanzioni.
Distinti Saluti Dott. Patrik Pappalardo