Se i giudici nazionali, chiamati ad applicare la normativa Ue in materia di pesca, non si rivolgono alla Corte di giustizia dell’Unione europea per un chiarimento sulle regole Ue e commettono un errore di diritto è certa la violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto all’equo processo in quanto si configura un diniego di giustizia. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Spasov contro Romania (ricorso n. 27122/14), depositata il 6 dicembre 2022 (AFFAIRE SPASOV c. ROUMANIE). A rivolgersi alla Corte è stato un cittadino bulgaro, comandante di una nave registrata in Bulgaria, impegnata nella pesca nel Mar Nero. La guardia costiera rumena, mentre la nave si trovava nella zona economica esclusiva, a venti miglia marine dalla costa rumena, era intervenuta e aveva trovato reti con maglie di dimensioni inferiori rispetto al minimo stabilito dalla legge rumena sulla pesca del rombo. La nave era stata condotta in un porto rumeno ed era stata sequestrata e destinataria di un provvedimento di confisca. Il comandante della nave era stato preso in custodia e poi rilasciato. L’uomo sosteneva la legittimità del suo comportamento rispettoso della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e del regime di pesca all’interno dell’Unione europea che gli consentiva di pescare un determinato quantitativo di rombo, tesi contestata dalla Romania secondo la quale per la pesca era necessaria una specifica licenza da parte delle autorità di Bucarest. Era stata aperta un’inchiesta e l’uomo era stato assolto, ma l’accusa aveva fatto ricorso. Intanto la Commissione europea aveva inviato una lettera specificando le violazioni commesse dalla Romania, ma la Corte di appello rumena aveva ritenuto non applicabile il diritto Ue e condannato il comandante per pesca illegale, in grado di compromettere l’ecosistema marino. Per quanto riguarda le sanzioni, l’uomo ha dovuto pagare tre multe pari a 1.350 euro ciascuna, ha subito la confisca dell’imbarcazione ed è stato destinatario de divieto di pesca per un anno nella zona economica esclusiva della Romania nel Mar Nero. Così l’uomo ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Prima di tutto Strasburgo ha ricostruito il quadro normativo precisando che il regolamento UE n. 2371/2002 che prevede il diritto di accesso alle acque e alle risorse nelle acque comunitarie era applicabile. Inoltre, ha valutato la lettera inviata alla Romania dalla Commissione europea e l’avvio di una procedura d’infrazione. Questo quadro ha portato la Corte europea dei diritti dell’uomo ha constatare che i giudici di appello rumeni, nel disporre la condanna del comandante, hanno commesso un errore di diritto. Non solo. Per Strasburgo la Corte di appello avrebbe potuto avvalersi, in base al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, del ricorso in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, al fine di sciogliere ogni dubbio interpretativo sull’applicazione del regolamento Ue, scelta che invece i giudici hanno ritenuto di non fare. E’ vero – osserva la Corte – che la Convenzione europea non garantisce, in sé, un diritto in base al quale i giudici nazionali sono tenuti a effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte Ue, ma se il rifiuto è irragionevole o arbitrario la questione rientra nel campo di applicazione dell’articolo 6. Di qui la conclusione di un evidente diniego di giustizia e di una sicura violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea che assicura l’equo processo. In aggiunta, per Strasburgo, è stato violato l’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione relativo al diritto di proprietà perché sia le sanzioni pecuniarie sia la confisca dell’imbarcazione erano state conseguenza di un manifesto errore di diritto. Pertanto, la Romania è stata condannata per violazione della Convenzione a versare 6.500 euro per danni patrimoniali e non patrimoniali.
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