Sottrazione internazionale e rischi per il minore: precisazioni dei giudici inglesi

La Corte di appello inglese (Civil division) interviene sull’applicazione dell’articolo 13 della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (ratificata dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64) precisando gli obblighi di valutazione delle prove da parte del giudice nazionale nei casi in cui il ritorno nel Paese di residenza abituale prima della sottrazione possa causare un rischio per il minore. Con la sentenza depositata il 6 luglio [2021] EWCA Civ 998, A-M (EWCA), in particolare, i giudici inglesi hanno ritenuto che, nell’ordinare il ritorno in Norvegia della bambina, che viveva con il padre, le autorità nazionali non hanno considerato in modo adeguato la lettera b) dell’articolo 13, in base alla quale il ritorno va escluso se “sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”. Spetta, inoltre, all’Autorità giudiziaria o amministrativa rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti che “il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere”.

La vicenda ha preso il via da un conflitto tra un cittadino norvegese di origine curda e una donna, cittadina britannica di origine marocchina. La coppia si era trasferita da Londra, dopo la celebrazione di un matrimonio islamico, in Norvegia, dove era nata una figlia, che risiedeva abitualmente nel Paese scandinavo. Tuttavia, la donna si era allontanata con la minore ed era tornata in Inghilterra. I giudici norvegesi avevano attribuito la responsabilità genitoriale al padre, ma la donna, in Inghilterra, si era rivolta al tribunale competente in materia di questioni familiari chiedendo un provvedimento di non avvicinamento dell’ex marito a causa degli abusi fisici e verbali nei confronti suoi e dei figli. Per i giudici inglesi, però, le misure adottate in Norvegia permettevano un controllo sul padre, evitando ogni rischio per i bambini. La madre aveva impugnato la pronuncia con la quale era stata respinta la sua richiesta perché non era stato dimostrato, in base all’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1980, l’esistenza di un grave rischio per il bambino in caso di ritorno dal padre. La Corte di appello ha accolto il ricorso della donna: ricostruita la posizione assunta dai giudici inglesi nell’applicazione dell’articolo 13 della Convenzione, la Corte di appello ritiene che non siano state adeguatamente valutate le prove fornite dalla madre sui rischi di atti di violenza da parte del marito e non siano state valutate le misure protettive applicabili in caso di ritorno in Norvegia della bambina. Di qui il rinvio per un nuovo esame ai sensi dell’articolo 13 lettera b) della Convenzione dell’Aja.

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