La sottrazione internazionale di minori deve essere integrata da una condotta illecita di trasferimento o dal mancato rientro nel Paese della residenza abituale del minore, ma non può configurarsi se, in un primo tempo, il padre ha dato il consenso a una permanenza all’estero del minore, senza caratteri di temporaneità. In questi casi, infatti, scrive la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24730 depositata il 16 settembre (ordinanza), non si configura un caso di sottrazione internazionale anche se il genitore che ha condotto la figlia all’estero si trasferisce in un altro luogo, sempre nel Paese sul quale l’altro genitore aveva dato il consenso. Il ricorso in Cassazione è stato presentato da una madre, cittadina italiana, che si era sposata con un francese. La coppia risiedeva in Francia anche con la figlia nata poco dopo il matrimonio. Dopo la separazione, la madre era partita per lavoro in Africa e la bimba era rimasta con il padre in Francia. Al rientro, la donna aveva deciso di tornare in Italia con la figlia. Il padre sosteneva di non aver dato il consenso e aveva chiesto il rientro della minore in Francia. Il Tribunale per i minorenni aveva accolto la richiesta e disposto, come da istanza dell’Autorità centrale presso il Ministero della giustizia, il ritorno in Francia, in linea con la Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (ratificata dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64). La donna ha impugnato il provvedimento in Cassazione che lo ha accolto. Ricostruito il quadro normativo secondo la Convenzione dell’Aja e il regolamento UE 2019/1111 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e sulla responsabilità genitoriale (Bruxelles II-ter), la Cassazione ritiene che si era al di fuori di un caso di sottrazione internazionale di minore perché il padre, nel 2022, aveva firmato un documento in cui aveva dichiarato di essere d’accordo “al trasferimento dei figli in uno specifico comune italiano”, dove in effetti la donna si era trasferita con la figlia, che aveva comunque continuato il rapporto con il padre. Solo dopo la decisione della donna di trasferirsi in altro comune, sempre in Italia, il padre aveva sostenuto che la bimba era stata illecitamente trattenuta con l’impossibilità di rientrare nella residenza abituale che, a suo dire, era in Francia. In realtà, precisa la Suprema Corte, il consenso al trasferimento della residenza in Italia, esclude l’applicabilità della Convenzione dell’Aja “difettando un prerequisito necessario alla configurabilità della condotta”. Il dissenso del padre – osserva la Cassazione – era intervenuto solo quando la donna si era trasferita in Toscana. Esclusa la sottrazione internazionale, la Corte, inoltre, ha accolto il ricorso della donna anche con riguardo alla mancata valutazione, da parte del Tribunale di Firenze, ai fini dell’eventuale applicazione dell’articolo 13, lett. b della Convenzione dell’Aja (in base al quale il ritorno va escluso se “sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”), della consulenza tecnica che aveva evidenziato i rischi per la salute psichica della bambina in caso di rientro definitivo in Francia. La Cassazione ha così accolto il ricorso della donna, cassato il decreto impugnato e rinviato la causa al Tribunale per i minorenni di Firenze, in diversa composizione.
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