Sulla questione della competenza dei giudici statunitensi nel caso di azioni contro Stati che hanno compiuto crimini contro l’umanità durante la Seconda guerra mondiale, perseguitando e sterminando gli ebrei, si è pronunciata la Corte di appello del Distretto della Columbia con la sentenza n. 22-7010, depositata l’8 agosto 2023 (Olocausto giurisdizione). L’azione è stata portata avanti da alcuni sopravvissuti all’Olocausto e ai campi di concentramento, tra i quali anche quattro ricorrenti che avevano acquisito negli anni la cittadinanza americana. I ricorrenti ritenevano che i tribunali statunitensi potessero avere giurisdizione nell’azione portata avanti contro l’Ungheria e la sua società ferroviaria che, durante il nazismo, aveva provveduto al trasferimento forzato nei campi di concentramento e proceduto all’espropriazione dei beni delle vittime. Come rilevato dai ricorrenti, l’Ungheria, proprio mentre la guerra stava terminando, aveva intensificato la persecuzione degli ebrei. La Corte distrettuale aveva respinto il ricorso dei ricorrenti apolidi, ritenendo che non venisse in rilievo la questione dell’immunità attraverso il Foreign Sovereign Immunities Act, ma l’applicazione del Trattato di Pace del 1947, al quale l’Ungheria è parte. La Corte di appello aveva ribaltato il verdetto, ma nuovamente i giudici di primo grado avevano escluso la giurisdizione in base al principio dell’international comity sostenendo che i ricorrenti avrebbero dovuto prima adire i giudici ungheresi e che, in ogni caso, in base al forum non conveniens, i tribunali ungheresi erano nella migliore condizione per decidere.
Nuovo appello e nuova decisione con la quale, l’8 agosto 2023, i giudici statunitensi hanno confermato, in parte, il verdetto di primo grado ritenendo che i ricorrenti non hanno dimostrato su quale base potesse trovare applicazione l’eccezione al principio di immunità nei casi di espropriazione in contrasto con il diritto internazionale stabilito nel FSIA e, questo, con particolare riguardo ai ricorrenti apolidi. Inoltre, per la Corte i ricorrenti non hanno fornito elementi utili a individuare la norma di diritto internazionale applicabile che potesse fare ritenere che l’appropriazione da parte di uno Stato di beni di apolidi equivalga a un’appropriazione vietata dal diritto internazionale. Tuttavia, la Corte ha respinto la tesi del Governo ungherese secondo il quale, per applicare l’eccezione del FSIA, è necessario dimostrare che i beni presenti negli Stati Uniti siano proprio quelli espropriati. In ultimo, la Corte ha riconosciuto la gravità delle atrocità commesse dall’Ungheria e ha ribadito che le vittime meritano giustizia, ma anche che i tribunali possono agire solo all’interno del quadro legislativo tracciato dal Congresso e che vi sono rimedi più efficaci rispetto all’azione dinanzi ai tribunali statunitensi.
Aggiungi un commento