Sequestro di strumenti e materiale dei giornalisti contrario alla CEDU

Una sentenza, almeno nella sua essenza, nel segno del rispetto dei principi stabiliti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che “salva” i giornalisti dai sequestri indiscriminati dei mezzi necessari per l’esercizio della professione. La Corte di cassazione, con sentenza n. 31735 depositata il 18 luglio, applicando in modo corretto l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto della libertà di espressione (31735_07_14), ha stabilito che il segreto professionale dei giornalisti non è un privilegio personale, bensì “un presidio ineludibile a tutela della libera attività di informazione”, da tutelare anche per rispettare gli obblighi internazionali. Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria aveva confermato il sequestro probatorio emesso dalla Procura nei confronti di un giornalista, di documenti, personal computer, portatile, dvd, block notes e pen drive, schede telefoniche, registratore portatile e cellulare. Di qui il ricorso del giornalista al quale la Suprema Corte ha dato ragione. La Cassazione, chiarito che il sequestro probatorio nei confronti di un giornalista “deve rispettare con particolare rigore il criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo di cui egli è destinatario e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto di indagini”, evitando provvedimenti invasivi della professionalità del giornalista, ha richiamato, a supporto dell’illegittimità del provvedimento, la giurisprudenza della Corte europea. Ed invero Strasburgo, in diverse occasioni, finanche con l’intervento del suo massimo organo giurisdizionale ossia la Grande Camera, ha precisato che gli Stati, per non incorrere in una violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea, devono proteggere le fonti dei giornalisti. Di conseguenza, i sequestri degli strumenti del giornalista sono in contrasto con la Convenzione, anche quando una simile misura potrebbe portare ad individuare gli autori di un reato. Allineandosi, seppure non del tutto, alla giurisprudenza della Corte europea,  la Cassazione  conferma che l’ingerenza in relazione alle fonti dei giornalisti deve essere considerata “un’extrema ratio cui ricorrere per poter conseguire la prova necessaria per perseguire il reato”. Nel caso in esame, il provvedimento non è stato mirato e non ha considerato, nelle motivazioni, la protezione delle fonti del giornalista professionista. Pertanto la Corte ha disposto l’annullamento del provvedimento e la restituzione degli strumenti, ad esclusione dei documenti, al giornalista.

Una conclusione che, a nostro avviso, malgrado le premesse, non è del tutto conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che ha escluso il sequestro del materiale anche se serve ad accertare un reato, mentre la Cassazione sembra propendere per una lettura più tenue della tutela ammettendo il sequestro nei casi di assoluta necessità per l’accertamento dei fatti, chiedendo, a tal fine, una motivazione specifica. Non solo. La Cassazione, in più punti della sentenza, limita la tutela al solo giornalista professionista mentre la Corte europea ha ampliato tale tutela non limitandola alle qualifiche professionali ottenute nell’ordinamento statale.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/contrarie-alla-convenzione-europea-dei-diritti-delluomo-le-perquisizioni-nelle-redazioni-e-il-sequestro-di-materiale-ai-giornalisti.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/blog/le-perquisizioni-nellabitazione-di-un-giornalista-sono-contrarie-alla-cedu.html

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