La sentenza definitiva adottata da uno Stato con il quale l’Italia non ha stipulato alcun accordo sul ne bis in idem non blocca i processi in Italia. Di conseguenza, i giudici italiani hanno competenza per accertare le responsabilità penali relative alla morte di un turista salentino inghiottito nelle carceri messicane nel 2007 e morto in circostanze tutte da chiarire. La conclusione del procedimento in Messico con sentenza passata in giudicato non produce effetti nell’ordinamento italiano e non può bloccare l’esercizio della giurisdizione dei tribunali interni. Questo perché – come ha deciso la Corte di assise di Lecce con ordinanza del 18 ottobre (Renda Simone-Ordinanza Corte Assise 18.10.2012) – il principio del ne bis in idem non opera sul piano internazionale se non è stata conclusa una convenzione tra Stati. La norma, infatti, non ha carattere consuetudinario: in mancanza di trattati, quindi, l’eccezione deve essere respinta. Si apre uno spiraglio di giustizia per i genitori del turista italiano che, mentre era in vacanza a Playa del Carmen, fu arrestato e rinchiuso in isolamento. Malgrado le sue precarie condizioni di salute non fu visitato e morì dopo due giorni. Le autorità consolari italiane non furono avvisate. Il processo in Messico ad alcuni poliziotti e a un giudice si è chiuso con alcune assoluzioni e con lievi condanne. La famiglia però ha insistito per avere la verità. Il primo ostacolo da superare era quello del riconoscimento della giurisdizione italiana. La Corte d’Assise di Lecce ha dato il via libera al processo in Italia respingendo le eccezioni della difesa che invocava il valore di giudicato della pronuncia messicana anche in Italia. Una tesi respinta dai giudici italiani. Prima di tutto – ha chiarito la Corte di assise – in mancanza di una convenzione internazionale che attribuisca rilievo alle sentenze messicane lo Stato non è vincolato dal principio del ne bis in idem. L’Italia è quindi libera di processare gli imputati (contumaci) malgrado il verdetto messicano sullo stesso fatto. Non solo. Il giudice italiano ha ampio margine di discrezionalità nella qualificazione dei fatti e non può certo essere vincolato dalla valutazione dei colleghi messicani. Questo vuol dire che il giudice interno può agire in base all’articolo 7 del codice penale che consente di procedere in Italia per reati commessi all’estero da stranieri a danno di italiani “se una convenzione internazionale stabilisca l’applicabilità della legge italiana”. Fondamento dell’azione, per la Corte di Assise, è la Convenzione di New York contro la tortura del 1984, ratificata dall’Italia con legge n. 498/88 – l’Italia però non ha ancora introdotto il reato di tortura nell’ordinamento nazionale – che consente lo svolgimento del processo nel Paese della vittima. Accolta anche l’istanza di costituzione di parte civile della madre. Nella prima udienza, che si è tenuta il 28 novembre, l’ambasciatore italiano in Messico ha confermato che le autorità italiane non furono avvisate della detenzione del connazionale.
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