Se chi fornisce notizie online ha un potere di controllo via libera alle azioni civili per diffamazione

 

Nessuno scudo dal diritto Ue per bloccare le azioni civili in materia di diffamazione provocata attraverso internet. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza depositata l’11 settembre relativa alla causa C-291/13 (diffamazione), sull’interpretazione della direttiva 2000/31 sugli aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione. Che – ha scritto la Corte – non blocca i regimi di responsabilità civile per diffamazione disposti negli Stati membri. E’ vero che l’atto Ue, recepito in Italia con Dlgs n. 70 del 9 aprile 2003, tutela il diritto del prestatore di fornire servizi, ma la normativa europea lascia un margine d’intervento agli Stati. Sono stati i giudici ciprioti, alle prese con una controversia tra un cittadino di Cipro che si riteneva diffamato e l’editore e alcuni giornalisti di un quotidiano nazionale e di due siti internet, a chiamare in aiuto Lussemburgo. Chiarita l’applicabilità della direttiva che comprende tra i servizi della società d’informazione anche quelli in cui il prestatore non è remunerato dal destinatario ma dai proventi della pubblicità, la Corte ha riconosciuto che gli Stati possono prevedere un regime di responsabilità civile per diffamazione contro il prestatore di servizi. In ogni caso, però, la Corte ha precisato che la decisione sul punto è circoscritta all’ipotesi in cui i servizi siano forniti da un soggetto che si trova nello stesso Stato di colui che si ritiene diffamato.

Lussemburgo ha anche escluso la possibilità, per il prestatore di servizi, di avvalersi delle deroghe fissate dalla direttiva in materia di responsabilità. Queste ipotesi riguardano i soli casi in cui il ruolo svolto dal prestatore sia meramente tecnico, automatico o passivo, “con conseguente mancanza di conoscenza o di controllo dei dati dal medesimo memorizzati”. Nel caso di una società editrice che pubblica la versione elettronica di un giornale sul sito internet è evidente la conoscenza delle informazioni pubblicate e la possibilità di un controllo. Pertanto, la casa editrice non è un prestatore intermediario e non può avvalersi delle deroghe previste dalla direttiva che la Corte, in passato, ha invece riconosciuto a Google (sentenza del 23 marzo 2010, C-236/08). Irrilevante, per Lussemburgo, che l’accesso al sito sia gratuito o a pagamento.

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