I limiti alle critiche ammissibili devono essere più ampi nei casi in cui un articolo di stampa riguardi un’istituzione pubblica o un politico e questo soprattutto quando si tratta di rappresentanti del potere esecutivo. In un sistema democratico, infatti, le azioni e le omissioni del potere politico devono essere sottoposte a un attento controllo non solo del potere legislativo e giudiziario ma anche della stampa e dell’opinione pubblica. E’ il principio stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella pronuncia Pinto Pinheiro Marques contro Portogallo depositata il 22 gennaio 2015 (AFFAIRE PINTO PINHEIRO MARQUES c. PORTUGAL), in cui, ancora una volta, Strasburgo è costretta a condannare lo Stato in causa per aver violato il diritto alla libertà di espressione garantito dall’articolo 10 della Convenzione europea. A rivolgersi a Strasburgo è stato uno storico che aveva firmato un contratto con il sindaco di una cittadina portoghese per la divulgazione di alcune opere su Alfonso Duarte. Lo studioso aveva pubblicato un volume ma, successivamente, il sindaco aveva disposto la pubblicazione di un altro volume, ad opera di un altro autore. Di conseguenza, lo storico aveva pubblicato un articolo su un giornale contestando la decisione del sindaco e accusandolo di aver sperperato denaro pubblico proprio a ridosso delle nuove elezioni. Il sindaco lo aveva querelato e i giudici nazionali gli avevano dato ragione, condannando in sede penale l’autore dell’articolo al pagamento di 3.300 euro. Una conclusione contraria alla Convenzione europea, scrive Strasburgo. Prima di tutto, la Corte afferma che i giudici nazionali non hanno considerato che l’articolo conteneva un giudizio di valore, basato su un dato fattuale sufficientemente indicato. Non solo. La libertà di espressione, nel caso di questioni legate alla vita politica, ha un’ampia portata e riveste la più alta importanza in relazioni a questioni di interesse generale. Di qui la necessità di tutelare coloro che esprimono critiche nei confronti dei politici, soprattutto laddove non superano i limiti fissati dall’articolo 10.
Tenendo conto poi della proporzionalità dell’ingerenza, la Corte europea constata che la condanna a una sanzione penale era “manifestamente sproporzionata”, suscettibile di avere un effetto deterrente sulla libertà di critica dell’opinione pubblica verso le istituzioni
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