Per la prima volta, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto il diritto del datore di lavoro ad ottenere il risarcimento del danno per i ritardi aerei subiti dai propri dipendenti inviati in missione. Con la sentenza depositata il 17 febbraio nella causa C-429/14 (C-429:14), la Corte Ue ha interpretato l’articolo 19 della Convenzione di Montreal per l’unificazione delle norme sul trasporto aereo internazionale del 1999, approvata dall’allora Comunità europea con la decisione 2001/539/CE del Consiglio del 5 aprile 2001, colmando una lacuna della norma che non individua le persone che possono agire per ottenere il risarcimento. La norma, infatti, precisa che il vettore aereo è tenuto ad un obbligo generale di risarcire ogni “danno derivante da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci”, ma “non precisa affatto la persona alla quale tale danno può essere stato causato”. Su questa lacuna è intervenuta la Corte Ue ammettendo che l’azione possa essere esercitata dal datore di lavoro. E’ stata la Cassazione lituana a chiamare in aiuto la Corte Ue. Al centro della vicenda dinanzi ai giudici nazionali, una controversia tra il servizio per le inchieste speciali lituano, che aveva inviato due agenti in missione e acquistato due biglietti dalla compagnia aerea Air Baltic, e la compagnia aerea. Questo perché per un ritardo aereo nella prima tratta, gli agenti avevano perso la coincidenza ed erano arrivati a destinazione con un ritardo di oltre 14 ore, con la conseguenza che il datore di lavoro, ossia il servizio per le inchieste, aveva dovuto versare ai dipendenti indennità giornaliere e contributi sociali supplementari. L’Air Baltic aveva negato ogni risarcimento al datore di lavoro. Di qui l’azione giudiziaria che è poi approdata a Lussemburgo. Al centro della questione la possibilità di ammettere al risarcimento del danno anche soggetti diversi da quelli direttamente colpiti dal ritardo. Gli eurogiudici riconoscono che la Convenzione non stabilisce in modo espresso la responsabilità del vettore nei confronti del datore di lavoro ma, al tempo stesso, il suddetto Trattato non limita la nozione di danno unicamente a quello subito dai passeggeri. Non solo. La Convenzione è chiara nell’individuare, tra i propri obiettivi, la tutela degli utenti del trasporto aereo internazionale. Pertanto, utilizzando il termine “utente” piuttosto che “passeggero” si manifesta l’intento di non limitare la tutela solo a chi si trova a bordo, con un’estensione alle persone che non vengono trasportate. Un’interpretazione che spiana la strada all’azione di risarcimento dei datori di lavoro che concludono un contratto di trasporto con il vettore aereo per far viaggiare i propri dipendenti. Con un limite, però, perché per Lussemburgo l’importo del risarcimento che il datore di lavoro può pretendere non può superare quello ottenuto “moltiplicando il limite fissato dall’articolo 22, paragrafo 1 della Convenzione di Montreal per il numero di passeggeri trasportati in forza del contratto concluso tra tale persona ed il o i vettori aerei interessati”. Di conseguenza, per garantire il giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco, il risarcimento deve essere limitato all’importo stabilito dalla Convenzione seppure moltiplicato per il numero di passeggeri che subiscono in prima persona il danno per il ritardo del vettore, senza così superare il cumulo di tutti i risarcimenti che potrebbero essere corrisposti a seguito dell’azione dei singoli passeggeri.
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