I ricorsi in Cassazione devono essere scritti in modo chiaro perché la farraginosità dell’esposizione determina l’inammissibilità del ricorso. D’altra parte, anche in altri ordinamenti statali e nell’Unione europea la chiarezza è requisito indispensabile per la presentazione delle istanze. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile-3, con ordinanza n. 9996/20 depositata il 28 maggio (9996), con la quale è stato respinto un ricorso anche per l’oscurità nella forma. La Cassazione ha precisato, inoltre, che nelle legislazioni di tutti gli Stati è affermato che la chiarezza è un imprescindibile presupposto “perché un ricorso per cassazione possa essere esaminato e deciso”. A rivolgersi alla Suprema Corte era stata un’avvocata che da tempo cercava di ottenere l’esecuzione di un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Cassino nei confronti di una società che, a suo dire, non aveva versato i compensi professionali a lei dovuti. Il decreto era stato poi revocato perché era stata avviata la procedura fallimentare nei confronti dell’azienda. La vicenda è arrivata in Cassazione che ha evidenziato “l’irresolubile farraginosità dell’esposizione dei fatti processuali e delle censure”, con un’evidente incoerenza nel contenuto e un’oscurità nella forma. La Suprema Corte ha sottolineato che la chiarezza è un requisito previsto anche dall’Unione europea. Nella Guida per gli avvocati – precisa la Cassazione – si richiede che il ricorso sia redatto in modo che “una semplice lettura” consenta alla Corte Ue “di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto”. Così, le regole federali statunitensi in materia di procedura civile impongono al ricorrente “una breve e semplice esposizione della domanda” e, in taluni casi, i giudici statunitensi hanno ritenuto inammissibile il ricorso per “lack of punctuation”. Pertanto, letto l’enigmatico ricorso, la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile.
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