Ricorsi alla Corte Ue e alla Cedu a confronto

Aumentano i casi in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo è chiamata a confrontarsi con il diritto Ue. Nella sentenza Karoussiotis contro Portogallo del 1° febbraio 2011 (ricorso n. 23205/08, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=19&portal=hbkm&action=html&highlight=&sessionid=65909603&skin=hudoc-fr) la Corte, alle prese con una vicenda riguardante la sottrazione internazionale di un minore, si è pronunciata su un’eccezione presentata dal Governo portoghese secondo il quale Strasburgo avrebbe dovuto dichiarare irricevibile il ricorso perché, a suo dire, il ricorrente aveva “iniziato” un  procedimento  d’infrazione contro il Portogallo dinanzi alla Commissione europea. Questa circostanza – osserva Lisbona – rendeva irricevibile il ricorso in forza dell’articolo 35, comma 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo secondo il quale la Corte deve dichiarare irricevibile il ricorso se esso è «sostanzialmente uguale ad altro ricorso… sottoposto ad altra istanza internazionale d’inchiesta o di composizione…». Una tesi del tutto respinta dalla Corte. Prima di tutto perché il procedimento d’infrazione è nelle mani della Commissione europea e, in secondo luogo, perché quel procedimento serve unicamente ad accertare se gli Stati rispettano gli obblighi Ue, ma non ha effetto sui diritti del ricorrente.

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