Riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso: l’inerzia italiana punita a Strasburgo

L’inerzia del legislatore italiano nell’adozione di una regolamentazione sulle unioni civili per il riconoscimento legale delle coppie dello stesso sesso è costata una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, arrivata con la sentenza del 21 luglio Oliari e altri (ricorsi n. 18766/11 e 36030/11, CASE OF OLIARI AND OTHERS v. ITALY), con la quale la Corte ha accertato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, a causa del mancato riconoscimento legale di qualsiasi diritto alle coppie dello stesso sesso. A rivolgersi alla Corte europea sono state tre coppie che volevano ottenere una certezza, anche sul piano giuridico, della propria stabile unione e avevano chiesto agli uffici dello stato civile le pubblicazioni matrimoniali. Il no opposto dalle autorità nazionali, inevitabile in assenza di un qualsiasi riconoscimento normativo per le coppie “same-sex”, ha portato una coppia a rivolgersi al Tribunale di Trento che ha respinto il ricorso. La Corte di appello ha rimesso la questione alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 138 del 15 aprile 2010, ha dichiarato inammissibile il ricorso. La Consulta, tuttavia, ha chiesto al legislatore di intervenire per assicurare un riconoscimento giuridico alle coppie. Ai ricorrenti non è rimasto altro che rivolgersi alla Corte europea, sul presupposto che le lacune nella legislazione italiana impediscono la realizzazione della propria vita privata e familiare e costituiscono una discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

Il Governo italiano ha fatto di tutto per bloccare l’esame del merito dei ricorsi e ha invocato l’articolo 47 del Regolamento di procedura della Corte europea, come modificato nel 2014, che ha introdotto condizioni di ricevibilità più stringenti. In relazione a quest’obiezione la Corte ha applicato il principio tempus regit actum: il ricorso era stato presentato nel 2011 e, quindi, non era certo possibile applicare una regola adottata nel 2013 e in vigore dal 2014. Strasburgo ha anche respinto l’eccezione del mancato rispetto del previo esaurimento dei ricorsi interni che erano ineffettivi.

LA Corte europea è partita dalla constatazione che, in linea con quanto affermato dalla Grande Camera nella sentenza del 7 novembre 2013, nel caso Vallianatos e altri contro Grecia (ricorsi n. 29381/09 e n. 32684/09), nella nozione di diritto alla vita familiare rientra il diritto di coppie dello stesso sesso a vivere insieme e che i mutamenti nella concezione della famiglia comportano interventi degli Stati volti a impedire forme di discriminazione. Nello stesso senso si era espressa la Corte nella sentenza 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria (ricorso n. 30141/04) nella quale, pur non ritenendo violata la Convenzione, ha affermato che “Sarebbe artificiale mantenere l’opinione secondo la quale, a differenza delle coppie eterosessuali, quelle dello stesso sesso non possono godere del diritto alla vita familiare secondo l’articolo 8”. Pur riconoscendo un margine di apprezzamento agli Stati, soprattutto in materie sensibili, la Corte ha stigmatizzato le gravi lacune dell’ordinamento italiano visto che le iniziative di alcuni comuni sulla registrazione delle unioni non sono in alcun modo comparabili al riconoscimento dei diritti proveniente da una legislazione sulle unioni civili. Cercare, poi, la via giudiziaria non solo non dà alcuna certezza, ma costituisce un onore eccessivo per i ricorrenti “specialmente in un sistema giudiziario sovraccaricato come quello italiano”. Non solo. Secondo la Corte risulta chiara l’esistenza di un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti e il quadro legislativo che non prevede alcuna forma di riconoscimento. Eppure, un simile riconoscimento non costituirebbe, secondo la Corte, un onere eccessivo per l’Italia, né dal punto di vista giuridico né dal punto di vista amministrativo o altro. Anzi, una legge servirebbe a soddisfare un bisogno sociale evidente se, come dicono i numeri, ci sono numerose coppie dello stesso sesso che richiedono una legittimazione.

A ciò si aggiunga che ormai si assiste a un rapido sviluppo nel riconoscimento delle coppie dello stesso sesso attraverso le unioni civili sia all’interno dei Paesi membri del Consiglio d’Europa (24 su 47 le riconoscono) sia sul piano universale, in Africa, Asia e America. E che i Paesi europei ed occidentali siano ormai decisi a garantire forme di riconoscimento per le coppie dello stesso sesso risulta anche dal dibattito che ha portato alla recente adozione della risoluzione Onu sulla protezione della famiglia, avvenuta da parte del Consiglio per i diritti umani il 1° luglio 2015 (A/HRC/29/L.25 G1513998). La risoluzione non ha ricevuto il voto favorevole degli Stati Uniti, di Francia, Paesi Bassi, Germania e altri Paesi europei proprio perché, per volontà dei Paesi arabi, non è stata presa in considerazione la famiglia in tutte le sue forme, aderendo a un modello tradizionale e certo obsoleto. Proprio di recente, la Corte suprema degli Stati Uniti, nella storica sentenza del 26 giugno 2015, Obergefell e altri v. Hodges Director e altri, ha stabilito che la tutela del matrimonio same sex si estende su tutto il territorio degli Stati Uniti e non solo negli Stati membri che lo hanno finora legalizzato (circa 37) in ragione del principio di uguaglianza. La Corte ha riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale per tutti a sposarsi e che, inoltre, non sussiste alcuna base giuridica idonea a giustificare un rifiuto al riconoscimento del diritto in esame. E’ evidente che un’affermazione così netta proveniente dal massimo organo giurisdizionale degli Stati Uniti non poteva lasciare indifferente la Corte europea che ha analizzato nel dettaglio l’iter giuridico seguito dai colleghi Usa.

La Corte europea, constatato che il Parlamento italiano non ha prestato attenzione alle indicazioni provenienti dalla collettività e alle affermazioni delle più alte autorità giurisdizionali del Paese, ha accertato il mancato rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 perché le lacune nel riconoscimento dei diritti impediscono alle coppie dello stesso sesso di vedersi riconosciuti diritti che, anche sul piano economico hanno rilievo, e di realizzare la propria identità. Una lacuna ingiustificata perché le coppie dello stesso sesso si trovano in una situazione identica alle coppie eterosessuali che vivono insieme in modo stabile, scegliendo di impegnarsi in una relazione duratura. Così, le coppie sono in una situazione identica in relazione alla necessità di ottenere un riconoscimento giuridico e una protezione della propria relazione. Esclusa, invece, la violazione dell’articolo 12 della Convenzione europea il quale riconosce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”. Per il matrimonio, infatti, la Corte ricorda che solo 11 Stati parti al Consiglio d’Europa lo prevedono per le coppie dello stesso sesso e che l’indicato articolo non impone un obbligo sugli Stati nel senso di prevedere il matrimonio per le coppie dello stesso sesso. In questo modo, ci sembra che la Corte europea abbia aperto la strada a una soluzione agevole anche per il legislatore italiano, che non cammina al passo con i tempi e che mostra di essere fortemente condizionato dagli aspetti religiosi della questione, permettendogli di riconoscere i diritti alle coppie dello stesso sesso attraverso le unioni civili senza passare attraverso l’ampliamento del raggio d’azione del matrimonio.

Va ricordato che il Governo p stato condannato non solo per aver violato gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8, ma anche a versare 5mila euro a ciascun ricorrente a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale subito, oltre alle spese processuali sostenute dalle parti. Resta da vedere se la pronuncia di Strasburgo spingerà verso un rush finale per l’adozione del disegno di legge Cirinnà “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” che è all’esame della Commissione giustizia del Senato e che, il 23 luglio, ha avuto il via libero dalla ragioneria dello Stato che ha stimato i costi fino al 2025 (nel 2016 l’impegno economico è di 3,7 milioni di euro. Il testo è reperibile nel sito http://www.articolo29.it).

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/cassazione-no-alle-pubblicazioni-per-matrimoni-tra-coppie-dello-stesso-sesso.html http://www.marinacastellaneta.it/blog/discriminazione-sulla-base-dellorientamento-sessuale-un-volume-del-consiglio-deuropa.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/blog/coabitazioni-e-unioni-registrate-necessarie-norme-di-conflitto-comuni.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/blog/trascrizione-nei-registri-di-stato-civile-di-matrimoni-dello-stesso-sesso-celebrati-allestero-lannullamento-non-compete-al-prefetto.html

 

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