La sentenza di divorzio emessa all’estero e riconosciuta in Italia lascia aperta la possibilità per uno degli ex coniugi di far valere le proprie pretese economiche in un procedimento dinanzi ai giudici italiani. Lo ha precisato la Corte di cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 1863/16 depositata il 1° febbraio (divorzio). La Suprema Corte ha respinto il ricorso di un coniuge il quale si opponeva alla decisione della Corte di appello di Firenze che aveva accolto l’istanza della ex moglie per la corresponsione dell’assegno divorzile. La coppia aveva ottenuto il divorzio dal Tribunale di Zlin (Repubblica Ceca) ma quest’ultimo non aveva disposto nulla sugli aspetti economici. La donna si era così rivolta ai giudici italiani, ma l’ex marito ha impugnato in Cassazione la decisione della Corte di appello che aveva fissato un assegno a vantaggio della ex moglie, ritenendo, tra gli altri motivi di ricorso, che fosse stato violato l’articolo 30 della legge n. 218/95 e il regolamento Ue n. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. A suo dire, poiché la sentenza del Tribunale di Zlin è stata immediatamente riconosciuta in Italia, la pronuncia straniera deve essere assimilata, per quanto riguarda gli effetti, a una pronuncia emessa dall’autorità giudiziaria italiana, con la conseguente preclusione processuale all’accertamento dell’assegno divorzile che doveva essere deciso congiuntamente alla sentenza di divorzio. Una tesi respinta dalla Suprema Corte. Prima di tutto perché non è imposta la regolamentazione contestuale dei diritti e doveri “scaturenti da un determinato status tant’è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo status, e rinvia al successivo corso del giudizio per l’adozione dei provvedimenti conseguenti”. In secondo luogo perché il riconoscimento automatico previsto dal regolamento Ue produce la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto specifico della sentenza resa in un altro Stato e, quindi, in questo caso, unicamente delle questioni relative all’accertamento delle condizioni per il divorzio, lasciando aperta “la possibilità di far valere le pretese economiche in un separato procedimento”. Dalla pronuncia resa dal giudice della Repubblica Ceca – prosegue la Cassazione – non può certo desumersi un giudicato che impedisce la domanda sull’assegno divorzile. Inoltre, l’ex moglie può legittimamente rivolgersi al giudice italiano senza alcuna preclusione tanto più che nell’ordinamento della Repubblica Ceca è prevista la possibilità di proporre la domanda sulle questioni economiche in un giudizio separato.
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