Battuta d’arresto per il diritto all’oblio, che cede il passo alle esigenze di pubblicità legale nei registri delle imprese. E’ quanto sostiene l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Bot, nelle conclusioni depositate l’8 settembre (C-398/15, camera-di-commercio), su rinvio pregiudiziale della Corte di cassazione italiana. La vicenda ha avuto origine dalla richiesta di un amministratore di una società di costruzioni che, in passato (1992), aveva gestito un’azienda dichiarata fallita, cancellata dal registro delle imprese. Secondo il ricorrente, la sua nuova attività non decollava anche perché nel registro delle imprese della Camera di commercio di Lecce era riportata la sua precedente attività come amministratore di una società liquidata. Di qui la sua richiesta al Tribunale di Lecce di imporre alla Camera di commercio la cancellazione dei dati, istanza che era stata accolta sulla base del diritto all’oblio. La Suprema Corte, però, si è rivolta a Lussemburgo per alcuni chiarimenti sulla direttiva 68/151 sulla pubblicità degli atti delle società (modificata in diverse occasioni) e sulla direttiva 95/46 sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati. Per l’Avvocato generale Bot la pubblicità legale sulle informazioni iscritte nel registro delle imprese prevale perché è “un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione”, che serve a tutelare gli interessi dei terzi (in particolare i creditori), la lealtà delle transazioni commerciali e il buon funzionamento del mercato. Per raggiungere quest’obiettivo, la pubblicità non ha limiti di durata ed è destinata “a una cerchia indeterminata di persone” perché se si ponessero limiti soggettivi di accesso o temporali, sarebbe compromessa la funzione del registro delle imprese che sottende la tutela di un interesse pubblico. Assicurare questa funzione, non è, per l’Avvocato generale, una violazione sproporzionata del diritto alla protezione dei dati tanto più perché si tratta di informazioni minime che servono a individuare “le persone fisiche che si celano dietro la maschera della personalità giuridica indossata dalle società”. Chiedere, poi, di cancellare i dati una volta che la società cessa la sua attività significa non garantire gli obiettivi fissati anche perché la scomparsa e la cancellazione di una società non escludono che continuino a sussistere rapporti giuridici avviati prima. I terzi, poi, hanno diritto a “farsi in qualsiasi momento un’idea attendibile di una società”, anche se questa non è più attiva. In ultimo, la presenza dei dati serve per le attività giudiziarie: imporre limiti temporali predeterminati non è così possibile perché gli Stati membri hanno regole sulla prescrizione diverse. Respinta anche la tesi di anonimizzare i dati inseriti perché ciò impedirebbe di collegare una società dichiarata fallita ai suoi dirigenti, con conseguenze negative per i terzi.
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