L’inadempimento dello Stato, che recepisce in ritardo una direttiva Ue, non può essere sanato dall’adozione tardiva di una legge interna. Di conseguenza, poiché l’inadempimento pregresso non è sanato, l’individuo leso dalla tardiva attuazione ha diritto di agire per il risarcimento del danno. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 4228 depositata il 10 febbraio 2023 (4228) a seguito del ricorso di una donna che, vittima di violenza sessuale, accertata con sentenza passata in giudicato, sosteneva di aver diritto a un indennizzo ai sensi della direttiva 2004/80 relativa all’indennizzo delle vittime di reato, ma che, a causa dell’inadempimento dello Stato italiano, in grave ritardo nel recepimento, non aveva potuto ottenerlo. Di qui l’azione per l’accertamento della responsabilità dello Stato italiano. Il Tribunale di Torino aveva respinto la richiesta sostenendo che non era stato provato il nesso causale tra danno subito e mancata attuazione della direttiva Ue. La Corte di appello di Torino, invece, sosteneva che l’inadempimento era venuto meno a seguito del tardivo recepimento, avvenuto con la legge 7 luglio 2016 n. 122, poi modificata dalla legge 20 novembre 2017 n. 167. Di qui il ricorso in Cassazione che, invece, ha dato ragione alla ricorrente. Prima di tutto, la Suprema Corte ha osservato che la domanda di risarcimento del danno nei confronti dello Stato inadempiente “fa sorgere in capo allo Stato membro una responsabilità di natura contrattuale” e, quindi, l’adozione di una legge successiva al termine previsto per il recepimento “non sana l’inadempimento pregresso e non determina la cessazione della materia del contendere in relazione alla già proposta questione del danno da inadempimento”. Pertanto, la decisione della Corte di appello non era corretta anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Per quanto riguarda l’obbligo della ricorrente, tenuta a tentare in via preliminare l’azione risarcitoria nei confronti del responsabile del reato, la Cassazione ha chiarito che “la circostanza che la legge nazionale abbia introdotto la condizione del preventivo infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato” non è in linea con la direttiva poiché il considerando n. 10 evidenzia la necessità che la vittima sia messa nelle condizioni di superare le “oggettive difficoltà che la vittima di reato intenzionale violento può incontrare nel conseguire il risarcimento del danno patito”, talvolta legate all’assenza di risorse economiche dell’autore del reato. Di conseguenza, la Cassazione, accogliendo il ricorso senza alcun obbligo di una preventiva azione nei confronti del colpevole, ha rinviato alla Corte di appello, in diversa composizione, la determinazione del quantum risarcibile
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