Pubblicata la relazione annuale sull’esecuzione delle sentenze CEDU in Italia

Diminuisce l’esborso dello Stato per gli indennizzi da versare alle vittime di violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo accertate da Strasburgo. Dai 77 milioni di euro versati nel 2015, l’Italia è scesa a quasi 16 milioni nel 2016 (erano poco più di 5 milioni nel 2014). Lo scrive il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri nella relazione annuale sull’esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia presentata il 1° settembre 2017, con riferimento al 2016 (RELAZIONE_2016). Un appuntamento fisso, previsto dalla legge n. 12/2006, che dovrebbe permettere all’Italia di migliorare il livello e la qualità di adeguamento alla Convenzione.

Tra le novità del 2016, anche il nuovo metodo introdotto da Strasburgo da marzo, in via sperimentale, sulla comunicazione dei ricorsi. Una procedura semplificata che alleggerisce il carico di lavoro della Corte imponendo alle parti l’onere di redigere l’esposizione dei fatti. Grazie a questo sistema sono stati comunicati un numero maggiore di casi: all’Italia, da aprile a settembre 2016, sono stati trasmessi 36 ricorsi a fronte dei 17 dello stesso periodo nel 2015.

L’Italia ha ridotto i ricorsi pendenti scendendo dal quarto al sesto posto e, per quanto riguarda le sentenze, Roma migliora di ben 5 posizioni la situazione in classifica: 15 le sentenze di condanna che portano fuori l’Italia dalla classifica dei primi dieci Stati con il maggior numero di condanne. Dato positivo, l’indice di ricambio superiore al 93%: in pratica i procedimenti chiusi sono stati 2.730, un numero di gran lunga superiore rispetto ai nuovi ricorsi assegnati a una formazione giudiziaria (1.409). Questo – si legge nella relazione – vuol dire che il volume dei casi pendenti è pari a 6.180 casi, con un decremento del 18,33% rispetto al 2015 (7.567), anno che già aveva portato a un abbattimento del contenzioso pendente del 50% rispetto al 2014 (14.400 ricorsi pendenti). E’ sottolineato, inoltre, che la maggior parte dei casi pendenti riguarda l’eccessiva durata dei procedimenti, situazione che dovrebbe migliorare con la piena esecutività del nuovo piano di azione “Pinto 2”. Da Strasburgo attesi i verdetti nel caso Berlusconi relativo alla legge Severino in materia di incandidabilità; il ricorso Sallusti sulla previsione del carcere per i giornalisti in caso di diffamazione; i ricorsi sul danno all’ambiente e alla salute relativi all’Ilva, nonché il ricorso di Amanda Knox per le limitazioni del diritto di difesa.

Preoccupazioni arrivano dalla sentenza Olivieri e altri contro Italia del 22 febbraio 2016 con la quale la Corte ha considerato inefficace il “rimedio indennitario subordinato alla condizione di ricevibilità dell’istanza di prelievo, nel processo amministrativo”. Questo sistema è stato bocciato dalla Corte europea che lo ha considerato come un meccanismo che ostacola l’accesso alla procedura Pinto: questo potrebbe aprire un nuovo filone di ricorsi seriali alla Corte.

Per le questioni relative al diritto di rivalsa, dopo la modifica, con legge n. 208/2015, del comma 9-bis dell’articolo 43 della legge n. 234/2012, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 147/2016, ha dichiarato cessata la materia del contendere, aprendo la strada a una più ampia applicazione. Sono stati anche adottati due accordi grazie alla Conferenza Stato – Città, con i quali sono stati fissati i criteri per la rateizzazione del debito. Nel complesso, le azioni di rivalsa attivate dal Ministero dell’economia dal 2009 ad oggi sono state 135, ma ben 65 nel 2016. Va sottolineato che la Consulta con la sentenza n.219 del 2016 ha stabilito che il diritto di rivalsa presuppone “che gli enti locali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, con la conseguenza che, prima di attribuire la responsabilità, è necessario accertare l’imputabilità.

Sul fronte dell’esecuzione delle sentenze, il 2016 è stato, per il sistema di Strasburgo, in generale, l’anno record per i casi chiusi: sono stati 2.066 contro i 1.537 nel 2015. Dati positivi anche per l’Italia: dai 2.421 casi nel 2015 si è scesi, nel 2016, a 2.350 casi sottoposti a supervisione del Comitato dei Ministri.

La sezione finale della relazione è interamentie dedicata a un approfondimento sull’adeguamento dell’ordinamento nazionale ai principi e alla giurisprudenza della Cedu con specifico riguardo all’attività della Corte costituzionale. A questo proposito sono indicate anche le recenti questioni sollevate alla Consulta con riferimento alle norme convenzionali interposte rispetto all’articolo 117 della Costituzione.

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