Protezione internazionale: effetto sospensivo automatico limitato al primo grado – International protection: automatic suspensory effect limited to action at first instance

La mancata sospensione di un provvedimento di espulsione mentre pende il procedimento di secondo grado non è contraria al diritto dell’Unione europea se in primo grado i giudici hanno confermato la decisione dell’autorità amministrativa di respingere la domanda di protezione internazionale. Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea con l’ordinanza C-422/18 depositata il 27 settembre (C-422:18). Il rinvio pregiudiziale era stato sollevato dal Tribunale di Milano alle prese con una controversia tra un cittadino di uno Stato terzo e la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano che aveva respinto la domanda di protezione internazionale. In base al diritto interno, le decisioni con le quali sono respinte le domande di protezione internazionale sono impugnabili in sede giurisdizionale e, tuttavia, con la modifica introdotta con il dl n. 13 del 2017, convertito in legge n. 46 del 2017, non è più previsto l’appello. Se in caso di ricorso in primo grado è mantenuto l’effetto sospensivo dell’esecuzione della decisione, nell’ipotesi di ricorso in Cassazione avverso la decisione del tribunale che conferma il provvedimento della commissione territoriale l’efficacia sospensiva non opera, anche se entro cinque giorni dal deposito in Cassazione il ricorrente può chiedere al giudice la sospensione dell’efficacia esecutiva. Di qui la richiesta di chiarimento agli eurogiudici e, in particolare, se la direttiva  2013/32/Ue sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale imponga all’ordinamento interno di prevedere un effetto sospensivo automatico in caso di ricorso avverso il rigetto della domanda di riconoscimento di protezione internazionale. La Corte, confermando la propria giurisprudenza, ha stabilito che la direttiva non fissa un obbligo di prevedere un appello né un effetto sospensivo. Anche dalla lettura dei considerando della direttiva – osserva la Corte – non emerge un obbligo di introdurre un secondo grado di giudizio, anche se gli Stati possono prevederlo. La stessa Carta dei diritti fondamentali, poi, non impone un doppio grado di giudizio perché dalla lettura congiunta dell’articolo 47 e degli articoli 18 e 19 risulta unicamente che deve essere assicurato un ricorso dinanzi a un’autorità giurisdizionale e il rispetto del principio di equivalenza e di effettività.

In senso analogo, nella sentenza del 26 settembre, causa C-180/17 (C-180:17), la Corte di giustizia ha sancito che l’articolo 46 della direttiva 2013/32 e l’articolo 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, letti alla luce dell’articolo 18 e dell’articolo 19, paragrafo 2, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, “devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento”.

 

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