Protezione delle fonti dei giornalisti blindata da Strasburgo

Arriva dalla Corte europea dei diritti dell’uomo un chiaro monito agli Stati: la libertà di stampa va salvaguardata in modo effettivo e, quindi, sono incompatibili con l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto alla libertà di espressione, misure come le perquisizioni nelle redazioni dei giornali e il sequestro di materiale cartaceo e informatico, disposte dall’autorità giudiziaria e funzionali a individuare la fonte che ha svelato al giornalista fatti scottanti. E questo anche quando è certo che le notizie arrivano al giornalista da documenti classificati come confidenziali che non possono essere diffusi. Comportamenti diversi, che portano a perquisizioni a strascico nelle redazioni, conducono inevitabilmente a una condanna dello Stato a Strasburgo e questo con danni per l’immagine del Paese, classificato come uno Stato non in grado di garantire la libertà di stampa e per le casse del Paese, costretto a versare un indennizzo al giornalista oggetto delle misure che compromettono la libertà di stampa. Va poi ricordato che le sentenze della Corte europea, a prescindere dallo Stato che ne è il destinatario, hanno, di fatto, una portata generale perché servono a interpretare le norme della Convenzione, che è uno strumento vivente. Con la conseguenza che se i giudici nazionali ignorano l’articolo 10 nella lettura che ne dà la Corte europea è certa la successiva condanna a Strasburgo.

Questa volta la condanna dalla Corte europea è arrivata alla Turchia, con la sentenza Görmüs depositata il 19 gennaio (AFFAIRE Gormus ET AUTRES c. TURQUIE), a seguito del ricorso presentato dal direttore e da 5 giornalisti di un magazine turco che avevano pubblicato un articolo nel quale davano conto dell’esistenza di una sorta di lista di giornalisti buoni e cattivi stilata dalle autorità militari a seconda che i cronisti fossero favorevoli o contrari alle forze armate e questo al fine di invitare a determinati eventi solo i giornalisti ritenuti “buoni”. La lista era contenuta in un dossier confidenziale che, presumibilmente, era stato consegnato ai giornalisti da un whistleblower, ossia da una fonte interna che voleva denunciare questi comportamenti arbitrari all’opinione pubblica con la garanzia dell’anonimato. Il Tribunale militare aveva ordinato una perquisizione su larga scala all’interno del giornale che aveva portato al sequestro di cd, materiale cartaceo e informatico e oltre 40 computer. Non ottenendo giustizia sul piano nazionale, malgrado i chiari orientamenti della Corte europea del tutto ignorati dalle autorità giudiziarie interne che hanno provocato la condanna a Strasburgo, i giornalisti si sono rivolti alla Corte europea che, prima di tutto, ha chiarito che la tutela delle fonti dei giornalisti è la pietra angolare della libertà di stampa perché, se non fosse assicurata, alcune fonti non svelerebbero notizie scottanti di interesse pubblico e la stampa, di conseguenza, non potrebbe svolgere il proprio ruolo di cane da guardia della società, denunciando fatti che Governo e altri autorità nazionali vogliono tenere nascosti. Detto questo, la Corte condanna il comportamento delle autorità  turche che con l’adozione di provvedimenti giudiziari abnormi hanno messo sotto scacco la libertà di stampa. Provvedimenti come perquisizioni nei giornali e sequestro di computer e documenti – scrive la Corte –  non solo sono in contrasto con la Convenzione, ma costituiscono uno degli atti più gravi a danno della libertà di stampa, molto più gravi rispetto alla ripetuta richiesta al giornalista di svelare il nome della fonte. E questo anche quando le perquisizioni non raggiungono alcun risultato, perché sia la fonte sia il giornalista sono sicuramente intimiditi da misure di questo genere. Strasburgo è poi sorpresa non solo dalle misure, ma anche dalla circostanza che le autorità interne abbiano messo in secondo piano la valutazione circa l’interesse pubblico della notizia che invece ha un ruolo preminente.  Nessun dubbio – scrive la Corte europea – che la classificazione dei giornalisti in base alla propria attività e il comportamento delle forze armate sia una questione di interesse pubblico che la collettività deve conoscere, anche quando la notizia è attinta da materiale coperto da segreto perché su tutto prevale la libertà di stampa, che può essere limitata solo in casi eccezionali e in presenza di un bisogno sociale imperativo che deve essere dimostrato e che, nel caso di specie, per Strasburgo, mancava anche se il documento era secretato e lo Stato invocava ragioni di sicurezza nazionale, giudicate inesistenti dai giudici internazionali. La Corte europea, poi, ci tiene a ribadire, con un chiaro monito alle autorità giudiziarie nazionali, il proprio diritto a vigilare affinché le misure disposte sul piano nazionale non costituiscano una forma di censura funzionale a spingere la stampa a non esprimere critiche con danni per la collettività e per la democrazia. Tra l’altro, proprio le perquisizioni a strascico nei giornali intimoriscono sia le future fonti che possono perdere fiducia nei giornalisti, sia questi ultimi che possono essere spinti a non  pubblicare notizie scottanti e di interesse generale per il timore di subire questi provvedimenti arbitrari, con effetti dannosi su larga scala. Proprio per questo la Corte conclude nel senso della violazione della Convenzione, con l’obbligo per lo Stato in causa condannato di versare un indennizzo per danni morali pari a 8.250 euro.

 

 

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