La Corte di Cassazione, sezioni unite civili, con la sentenza n. 22093 depositata il 29 ottobre (22093) dà il via libera all’apertura di una procedura secondaria d’insolvenza in Italia anche se la società in liquidazione in Francia ha sul territorio italiano un’unica sede. A condizione però che la sede sia qualificabile come dipendenza. Il ricorso in Cassazione è stato presentato da una società a responsabilità limitata con sede vicino a Torino nei confronti della quale il Tribunale di Ivrea aveva dichiarato una pronuncia di fallimento su richiesta di debitori e lavoratori limitatamente ai beni presenti in Italia. Per la società mancava la competenza del giudice italiano perché la procedura era stata aperta in Francia in quanto in quel Paese vi era il COMI (centro principale degli interessi) che, per le persone giuridiche, è il luogo in cui si trova la sede statutaria. Per la società ricorrente non era possibile aprire una procedura secondaria in Italia sul cui territorio era presente un’unica sede. Una tesi respinta dalla Cassazione che, per la prima volta, è stata chiamata ad occuparsi della legittimità dell’apertura, in base all’articolo 3 del regolamento UE n. 1346/2000 relativo alle procedure d’insolvenza transfrontaliera, di un procedimento di insolvenza secondaria di una società con unica sede legale e produttiva in Italia, dopo l’apertura in un altro Stato Ue di quella principale. La Cassazione parte dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 settembre 2014 (causa C-327/13, Burgo) che, malgrado non sia stata richiamata dalle parti, riguarda una fattispecie speculare a quella sollevata dinanzi alla Cassazione. Proprio tenendo conto della sentenza Ue, la Cassazione ritiene che l’apertura della procedura d’insolvenza in Francia, centro degli interessi principali, non impedisce, nei confronti di una società a responsabilità limitata con sede statutaria e struttura produttiva in Italia, di aprire una procedura secondaria in Italia. A patto, però, che la società sia qualificabile come dipendenza. Sul punto, la Cassazione rimanda alla nozione come qualificata da Lussemburgo. La Suprema Corte ha anche respinto gli altri motivi di ricorso chiarendo che la procedura secondaria ha effetti limitati ai soli beni del debitore che si trovano sul territorio italiano. In questo modo si contempera universalità e territorialità nel segno della cooperazione fra gli Stati. Tra l’altro il diritto di chiedere l’apertura della procedura non è limitato ai soli creditori domiciliati nello Stato membro ma a ogni persona che sia legittimata a presentare la richiesta in base all’ordinamento nazionale dello Stato membro in cui è stata chiesta l’apertura della procedura, come chiarito dall’articolo 29 del regolamento. Respinto anche l’ultimo motivo di ricorso fondato sulla circostanza che i giudici italiani non potevano aprire la procedura secondaria perché era cessata l’attività di impresa prima della presentazione della domanda di apertura di procedura secondaria.
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