Se il procedimento di divorzio tra una cittadina Ue e un cittadino di uno Stato terzo è preceduto dalla partenza della prima dal Paese membro di residenza, diverso da quello della cittadinanza, il partner extra Ue non può invocare il diritto di soggiorno in base alla direttiva 2004/38 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento n. 1612/68, recepita in Italia con il Dlgs 30/2007, modificato dal Dlgs 32/2008 e poi dalla legge 129/2011. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 16 luglio 2015 (causa C-218/14, singh) a seguito di un rinvio pregiudiziale targato Irlanda. Le tre vicende che hanno poi portato l’High Court irlandese a rivolgersi a Lussemburgo sono simili e vedono al centro cittadini di Paesi terzi arrivati in Irlanda e poi sposatisi con cittadine Ue. I mariti extra Ue avevano ottenuto il permesso di soggiorno in qualità di coniugi di cittadini dell’Unione che risiedevano in un altro Stato membro. Nel momento in cui erano state avviate le procedure di divorzio e le cittadine Ue si erano allontanate dall’Irlanda sono sorti problemi perché le autorità irlandesi avevano respinto il mantenimento del permesso di soggiorno dei richiedenti, cittadini di Paesi terzi.
Punto essenziale è che i cittadini extra Ue non sono titolari di diritti autonomi, ma derivati dall’esercizio della libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione. E’ evidente – osserva la Corte di giustizia – che per godere dei diritti fissati nella direttiva non è richiesta la coabitazione, ma piuttosto di “rimanere entrambi nello Stato membro in cui il coniuge cittadino dell’Unione esercita il diritto alla libera circolazione”. Questo vuol dire che il cittadino di un Paese terzo ha il diritto di soggiorno solo nel Paese in cui il cittadino Ue risiede. Con l’allontanamento delle mogli, che si erano spostate in altri Paesi Ue, i cittadini di Paese terzi non rispettavano più le condizioni richieste. L’articolo 13 della direttiva stabilisce che il divorzio non determina la perdita del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione se il matrimonio è durato almeno tre anni, dei quali almeno uno trascorso nello Stato Ue ospitante prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio. Ora, nel caso di specie, i coniugi cittadini dell’Unione avevano lasciato lo Stato membro ospitante e si erano trasferiti in un altro Paese Ue già prima dell’avvio della procedura di divorzio. Una condizione che non consente al cittadino di un Paese terzo di mantenere il diritto di soggiorno in base all’articolo 13 della direttiva. Detto questo, però, la Corte lascia spazio alla possibilità per gli Stati membri, come era stato alla fine nel caso dell’Irlanda, di consentire il soggiorno, senza che ciò, però, sia imposto dal diritto Ue.
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