La libertà di espressione batte la privacy se si tratta di pubblicazioni relative a notizie di interesse generale. Lo ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 12 giugno 2014 (caso Couderc e Hachette Filipacchi Associés contro Francia, AFFAIRE COUDERC ET HACHETTE FILIPACCHI ASSOCIES c. FRANCE) sulla scia di una prassi giurisprudenziale sempre più orientata alla massima tutela della libertà di stampa, inclusa nell’articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione. Con un’ammissione di misure limitative del diritto solo in casi davvero eccezionali. La sentenza è stata adottata sul filo di lana con 4 voti favorevoli e ben 3 contrari. A rivolgersi alla Corte sono stati il direttore e l’editore del magazine Paris Match che aveva pubblicato la notizia, accompagnata dalla fotografia, dell’esistenza di un figlio segreto del Principe Alberto di Monaco. Quest’ultimo aveva citato in giudizio il giornalista e l’editore, invocando l’applicazione dell’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Il Tribunale di Nanterre aveva accolto la sua istanza condannando i convenuti a versare 50mila euro a titolo di risarcimento. La pronuncia era divenuta definitiva. Di qui il ricorso alla Corte europea che ha dato ragione alla giornalista e all’editore. E’ vero – riconosce la Corte – che la pubblicazione della notizia ha inciso sulla vita privata di Alberto di Monaco, ma i tribunali nazionali, nel disporre la condanna, non hanno preso in alcuna considerazione la sussistenza di un interesse generale a ricevere quella determinata informazione pubblicata sul magazine. In pratica, i tribunali nazionali, inclusa la Cassazione che aveva confermato il verdetto, non hanno effettuato il test di proporzionalità sui diversi diritti in gioco ossia libertà di espressione e diritto alla reputazione e alla privacy. Senza dimenticare che, nel caso di specie, la notizia era stata diffusa ai giornalisti proprio dalla madre del figlio segreto con l’obiettivo di tutelare i diritti del bambino. A ciò si aggiunga che vi è un interesse generale a ricevere informazioni sui regnanti anche se non sono in gioco questioni ereditarie. Il comportamento del regnante – osserva la Corte – può essere un elemento rilevatore della personalità e della “sua capacità di esercitare le sue funzioni in modo adeguato”. La Corte, tuttavia, riconosce che nell’articolo contestato, accanto alla notizia di interesse generale, vi erano particolari della vita privata di Alberto di Monaco privi di interesse generale ma, anche alla luce di altri elementi, questi aspetti avevano un ruolo secondario, con un’evidente preminenza delle notizie di interesse per la collettività. Tra l’altro, nel caso di specie, non vi era solo un problema in ordine al rapporto tra stampa e persone pubbliche, ma vi era anche l’interesse del bambino e della madre che ha fornito alla stampa le informazioni e le fotografie, proprio per attirare l’attenzione del pubblico sulla situazione del figlio che non era stato riconosciuto dal Principe Alberto. Inoltre, le notizie pubblicate non erano in alcun modo diffamatorie e alcune erano già apparse in Regno Unito e in Germania. Ora – conclude la Corte “nelle specifiche condizioni, tenendo conto dei mezzi di comunicazione esistenti, se certo l’articolo pubblicato da Paris Match il 5 maggio 2005 ha avuto ripercussioni importanti, le informazioni in esso contenuto non erano più confidenziali”. In ultimo, la Corte ha anche ritenuto la sanzione economica non trascurabile. Di qui la condanna alla Francia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
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