È inconcepibile che, con riguardo a casi giudiziari o indagini penali, non vi sia una discussione preventiva o contemporanea sull’oggetto del procedimento, sia sulle riviste specializzate, sia sulla stampa o tra il pubblico in generale. Questo perché – ha chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza depositata il 30 maggio (ricorso n. 45066/17, CASE OF MESIĆ v. CROATIA (No. 2) – non solo i media hanno il dovere di trasmettere informazioni, ma il pubblico ha il diritto di riceverle. Di conseguenza, via libera agli articoli sulle indagini in corso nel rispetto delle regole deontologiche e assicurando la diffusione di informazioni “affidabili e accurate”. La vicenda aveva al centro un articolo pubblicato su un portale di news croato che riguardava un’indagine svoltasi in Finlandia a carico di tre ex dipendenti di un’azienda che aveva fornito alcuni veicoli blindati alla Croazia. L’accusa sosteneva che l’ex Presidente croato Mesić (dal 2000 al 2010) fosse stato destinatario di una tangente. Due degli ex dipendenti erano stati condannati in primo grado e poi assolti in appello. Il portale aveva pubblicato la notizia chiedendo alle autorità croate di indagare e l’ex Presidente, a sua volta, aveva presentato un’istanza di rettifica chiarendo di non essere stato coinvolto nelle procedure di appalto, ma il portale si era rifiutato di pubblicarla, sostenendo di avere riportato le parole dell’accusa e stralci della pronuncia di primo grado. Di qui l’azione per diffamazione, ma l’istanza dell’ex Presidente era stata respinta, finanche dalla Corte costituzionale. L’uomo ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo ritenendo che fosse stato violato l’articolo 8 della Convenzione che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare perché la sua reputazione era stata compromessa. Prima di tutto, la Corte europea ribadisce l’importanza della stampa libera in una società democratica. È vero – osserva Strasburgo – che le notizie riportate potevano compromettere in modo grave la reputazione dell’ex Presidente della Croazia, ma l’articolo aveva contribuito a informare la collettività su una questione di interesse generale. Inoltre, nel caso in esame, per la Corte è molto rilevante la notorietà del soggetto al centro dell’articolo e la circostanza che le informazioni erano vere in quanto attinte da un atto giudiziario. Sul punto, la Corte precisa che i giornalisti si erano limitati a riportare quanto contenuto negli atti e anche l’affermazione che l’ex Presidente avesse ottenuto una tangente di 630mila euro non era del giornalista ma dell’accusa. Va poi considerato che i limiti della critica accettabile sono più ampi quando gli articoli di stampa riguardano un politico che, per di più, in questo caso, era un ex Presidente. L’articolo, inoltre, non aveva toccato la vita privata del politico, ma solo attività legate alle sue funzioni e il giornalista non aveva mai affermato che vi era già stato un accertamento della colpevolezza. Certo, precisa Strasburgo, va assicurato il diritto alla presunzione di innocenza, ma i giornalisti e i media in generale devono essere liberi di riferire su avvenimenti che hanno una base fattuale verificata dai giornalisti e, nel caso di fonti ufficiali, senza che risulti necessario un obbligo ulteriore di verificare i fatti descritti dall’autorità giudiziaria. Detto questo, la Corte precisa che un’informazione corretta non può contenere insinuazioni in grado di creare un’immagine falsa tra la collettività e, quindi, i giornalisti devono agire nel rispetto dei propri doveri e delle proprie responsabilità, nei limiti che la stampa deve imporsi spontaneamente, per evitare che una persona sia esposta al pubblico disprezzo. Ad avviso della Corte, nel caso in esame il giudice nazionale aveva effettuato un giusto bilanciamento alla luce dei parametri forniti dalla Corte perché aveva considerato i criteri già fissati da Strasburgo ossia il contributo della notizia a un dibattito di interesse generale, la notorietà del richiedente, il metodo con il quale sono state ottenute informazioni e la loro veridicità. La Corte riconosce che gli articoli in questione potevano screditare il ricorrente e che gli scritti erano a disposizione di un vasto pubblico, ma l’articolo impugnato aveva al centro una questione di interesse pubblico e, in questi casi, la Convenzione europea lascia poco margine a possibili limitazioni alla libertà di stampa perché altrimenti sarebbe compromesso il diritto della collettività a ricevere informazioni di interesse generale e sarebbe leso il ruolo di “cane da guardia” dei media che ha una particolare rilevanza nel caso del giornalismo investigativo, indispensabile per fare in modo che le autorità rispondano delle proprie condotte, tenendo conto che i limiti delle critiche accettabili sono più ampi nel caso di un politico che si espone volontariamente a un esame di ogni sua azione. Nell’articolo, inoltre, non era affermato che l’ex Presidente avesse ricevuto una tangente di 630mila euro, ma che nei documenti della Procura si affermava ciò, con la conseguenza che il giornalista stava riportando unicamente documenti ufficiali. Irrilevante, poi, per decidere sulla diffamazione che i due dipendenti dell’azienda fossero stati assolti in appello. Inoltre, anche ritenendo che il giornalista avrebbe potuto scegliere le parole con maggiore attenzione, con riguardo almeno ad alcuni passaggi, la Corte ritiene che la valutazione dell’articolo doveva essere effettuata in modo complessivo e che il comportamento dei giornalisti era stato corretto tanto più che il grado di precisione al quale i giornalisti sono tenuti quando forniscono notizie di interesse pubblico non può essere paragonato a quello previsto per i giudici nazionali. Pertanto, la Corte conclude che i tribunali interni hanno agito nel rispetto della Convenzione facendo prevalere la libertà di stampa. Respinto così il ricorso dell’ex Presidente croato per violazione del diritto alla reputazione.
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