Prelievi biologici: la Cassazione chiarisce la corretta interpretazione delle sentenze di Strasburgo

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 23583 depositata il 12 giugno (23583), ha chiarito la corretta interpretazione di alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ridimensionandone gli effetti in alcuni casi che, a prima vista, sarebbero potuti apparire simili. Al centro della questione, l’acquisizione di reperti biologici che erano stati comparati con le tracce rinvenute sul luogo del delitto per il quale era stato condannato un uomo. La madre di quest’ultimo aveva presentato domanda di revisione della pronuncia della Corte di appello, fondata sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Petrovic contro Serbia del 2020, ma l’istanza era stata respinta. Di qui il ricorso della donna alla Cassazione, nell’interesse del figlio. In particolare, la ricorrente sosteneva che era stato violato il diritto alla privacy in quanto era stata considerata come prova decisiva un flacone di un farmaco per l’asma sul quale era stato rinvenuto del DNA del figlio analogo a quello trovato sul luogo del delitto. Tuttavia, il prelievo del patrimonio genetico era stato effettuato senza il consenso dell’uomo, in contrasto con la sentenza della Corte di Strasburgo. La Cassazione respinge quest’interpretazione perché le sentenze della Corte europea richiamate (Petrovic contro Serbia, Caruana contro Malta e Paradiso contro Italia) riguardano una questione diversa ossia il prelievo dal soggetto interessato di reperti biologici “che, per la sua connaturata invasività, deve certamente prevedere strumenti di tutela”. Nel caso in esame, invece, non vi era stato un prelievo diretto sull’interessato, ma era stato desunto da un dispositivo medico trovato sul luogo del delitto e, quindi, non vi era stata “un’incidenza sulla sfera della libertà personale dell’interessato, riguardando materiale biologico fisicamente dalla persona”. L’elemento di prova non era così inutilizzabile, senza dimenticare che l’ordinamento processuale italiano assicura garanzie idonee per tutelare la privacy “del soggetto nei confronti del quale si sarebbe eventualmente dovuto effettuare il prelievo di un campione biologico”. La Cassazione, inoltre, tiene a precisare che l’ordinamento italiano ha una specifica disciplina per tutelare la privacy degli interessati riguardo ai dati sanitari che deve essere garantita “solo a valle della loro pertinenza al processo, per evitarne la non necessaria divulgazione al pubblico indistinto”.

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