La nozione di pirateria, contenuta nell’articolo 1135 del codice della navigazione, va interpretata alla luce dell’articolo 101 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, ratificata dall’Italia con legge 2 dicembre 1994 n. 689 che definisce la condotta come “any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation”, termine che è stato erroneamente tradotto in italiano con “rapina”. È la Corte di Cassazione, terza sezione penale, a stabilirlo con la sentenza n. 51442 depositata il 27 dicembre (pirateria) con la quale è stato accolto il ricorso del Procuratore della Repubblica di Agrigento. Quest’ultimo, che contestava la qualificazione giuridica dei fatti, aveva impugnato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Agrigento con la quale era stata esclusa la giurisdizione italiana nei confronti di quattro imputati indiziati di pirateria. Il fatto era stato riqualificato come estorsione ai sensi dell’articolo 629 del codice penale ed era stata esclusa la competenza del giudice italiano in quanto il fatto era avvenuto al di fuori delle acque territoriali italiane. Di diverso avviso la Cassazione secondo la quale l’articolo 1135 del codice della navigazione, che si occupa di sanzionare la pirateria, “non contiene una precisa definizione delle condotte di pirateria contenuta invece nell’articolo 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay”. Nella norma italiana la condotta incriminata include atti illeciti di violenza o di sequestro o ogni atto di rapina, mentre il testo convenzionale indica “any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation” (qualsiasi atto di violenza o sequestro o qualsiasi atto di depredazione). La traduzione corretta – precisa la Cassazione – dovrebbe essere non rapina ma depredazione, ossia un atto di predoneria o saccheggio. Inoltre, la lettura congiunta degli articoli 1135 e 1137 del codice della navigazione porta a ritenere che, secondo la legislazione italiana, nella nozione di depredazione vanno incluse “tutte le ipotesi di spossessamento violento di beni altrui, indipendentemente dalla qualificazione della condotta in termini di rapina ovvero di estorsione”. Nel caso in esame non rileva la distinzione tra rapina ed estorsione delineata in passato dalla Cassazione ed è evidente che è sussistente un atto di violenza “ricompreso nella prima parte della definizione di pirateria, posta la evidente mancanza di scelta in capo alle persone offese, minacciate di essere lasciate alla loro sorte alla deriva”. Inoltre, la Corte ritiene fondata l’eccezione sollevata dal Procuratore e ha riconosciuto che la condotta di cui all’articolo 1135 “si pone in termini di specialità rispetto ai delitti di rapina ed estorsione”. Di conseguenza, l’atto illecito è da considerare come pirateria, commesso nella zona contigua, con conseguente giurisdizione del giudice italiano. Questo perché – precisa la Suprema Corte – alle condotte di pirateria commesse in acque internazionali, va applicato il principio di giurisdizione universale, secondo l’articolo 105 della Convenzione di Montego Bay.
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