Gli Stati membri non possono stabilire condizioni più favorevoli per i permessi di soggiorno Ue al coniuge di un cittadino di un Paese terzo che già soggiorna sul territorio e che ha già lo status di soggiornante di lungo periodo. E’ stata la Corte di giustizia dell’Unione europea a stringere le maglie sul ricongiungimento nella sentenza del 17 luglio, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Verona (causa C-469/13, C-469:13). Al centro dell’attenzione degli eurogiudici, la direttiva 2003/109 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (modificata dalla 2011/51), recepita con Dlgs n. 3/2007. Questi i fatti. La moglie di un cittadino pakistano, già in Italia con un permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo, aveva presentato alla questura di Verona una richiesta per analogo permesso. L’istanza era stata respinta perché la donna soggiornava in Italia solo dal 2010 con un visto d’ingresso per ricongiungimento familiare. Proprio l’assenza della permanenza in Italia da 5 anni aveva spinto le autorità italiane a negare il permesso. Di qui il ricorso in tribunale che ha chiamato in aiuto Lussemburgo. Per la donna, doveva essere applicato l’articolo 9 del Dlgs 286/1998 che non richiede, per il coniuge del titolare dello status di soggiornante di lungo periodo, il soggiorno di 5 anni. Una tesi non accolta dalla Corte Ue che ha messo in primo piano le esigenze di uniforme applicazione della normativa europea armonizzata. E’ vero – osservano gli eurogiudici – che l’articolo 13 della direttiva permette agli Stati membri di rilasciare permessi di soggiorno permanenti a condizioni più favorevoli rispetto alle condizioni dell’atto Ue ma, in questi casi, il titolo non può produrre gli stessi effetti nello spazio europeo e non può avere lo stesso valore di quello previsto nella direttiva. In caso contrario – precisa Lussemburgo – sarebbe compromessa l’armonizzazione delle condizioni per il conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo e, di conseguenza, la reciproca fiducia fra gli Stati membri. Un freno, quindi, alla discrezionalità degli Stati, anche in presenza di condizioni più favorevoli: il mancato rispetto del termine di 5 anni impedisce che il provvedimento possa valere come “titolo Ue” per l’assenza di un radicamento effettivo nello Stato ospitante. Questo vuol dire che, in linea con l’articolo 7 della direttiva, le autorità nazionali devono richiedere, anche per il coniuge che ha ottenuto un permesso a titolo di ricongiungimento, il quale voglia un miglioramento con un permesso di lungo periodo, un soggiorno legale e ininterrotto nei cinque anni immediatamente precedenti la presentazione dell’istanza.
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