Per gli apolidi no al rito camerale.

Per l’accertamento delle condizioni in base alle quali è possibile attribuire lo status di apolidia stabilite dalla Convenzione di New York del 28 settembre 1959 è competente il Ministro dell’interno che deve rilasciare un decreto accertando il rispetto della Convenzione internazionale. Tale decreto, riguardando questioni attinenti allo stato della persona,  può poi essere impugnato secondo le forme proprie del giudizio ordinario di cognizione. Lo ha deciso la Corte di cassazione (sezione I, civile) con sentenza del 4 aprile 2011 n. 599/2011 (http://www.cortedicassazione.it/Documenti/7614_04_11.pdf) con la quale la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un individuo appartenente all’etnia saharawi che aveva chiesto al Tribunale di Trento di riconoscere il proprio stato di apolide. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso perché il ricorrente aveva utilizzato il rito camerale e non le forme del rito ordinario di cognizione. Di qui l’impugnazione fino alla Cassazione che, però, ha dato ragione ai giudici di merito e ha anche colto l’occasione per differenziare la situazione di coloro che rivendicano lo status di apolidia da coloro che chiedono la protezione internazionale per i quali vi è un’esigenza di celerità nella definizione del procedimento che giustifica l’utilizzo del rito camerale.

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