La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 24 ottobre, nella causa C-324/17 (Gavanozov, ordine europeo di indagine), per la prima volta, è intervenuta a chiarire alcuni aspetti della direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine penale (OEI), recepita in Italia con il decreto legislativo n. 108 del 21 giugno 2017. Per Lussemburgo, l’autorità giudiziaria di uno Stato membro non è tenuta, al momento dell’emissione dell’ordine europeo di indagine, ad indicare e a descrivere i mezzi di impugnazione previsti in via generale nello Stato membro avverso l’emissione dell’ordine, ma deve specificare, in linea con la sezione J del modulo contenuto nell’Allegato A della direttiva, solo il mezzo di impugnazione già utilizzato dalla persona interessata.
A rivolgersi alla Corte Ue è stato il Tribunale speciale per i procedimenti penali bulgaro investito di una questione relativa a un cittadino bulgaro accusato di aver diretto un’organizzazione criminale e di aver commesso reati fiscali, in particolare attraverso l’importazione, con società interposte, di zucchero proveniente da altri Stati utilizzando una società stabilita nella Repubblica ceca. Il prodotto era stato venduto in Bulgaria senza versare l’IVA dovuta e il Tribunale bulgaro aveva emesso un ordine europeo di indagine indirizzato alle autorità della Repubblica ceca, senza compilare la sezione J del modulo che figura nell’allegato A della direttiva 2014/41 perché l’ordinamento bulgaro non prevede l’impugnazione nel caso di decisioni su perquisizioni, sequestri o audizioni di testimoni.
L’articolo 5 della direttiva – osserva la Corte – precisa le informazioni da indicare nel modulo di cui all’allegato A, tra le quali vi sono “a) i dati relativi all’autorità di emissione e, laddove applicabile, all’autorità di convalida; b) l’oggetto e i motivi dell’OEI; c) le informazioni necessarie sulla persona o sulle persone interessate; d) una descrizione della condotta penale che forma l’oggetto dell’indagine o del procedimento e le disposizioni di diritto penale applicabili dello Stato di emissione; e) una descrizione dell’atto o degli atti di indagine richiesti e degli elementi di prova da ottenere”, senza che sia specificato l’obbligo di indicare i mezzi di impugnazione previsti a livello nazionale. La sezione J, inoltre, dispone che l’autorità di emissione indichi se è stato già fatto ricorso a mezzi di impugnazione contro l’emissione di un OEI e, “in caso affermativo”, una descrizione dei mezzi di impugnazione, relativi, così, al caso specifico. Inoltre, l’autorità nazionale del Paese di emissione deve indicare la denominazione e i dati dell’autorità competente “che può fornire ulteriori informazioni sui mezzi di impugnazione, sull’assistenza legale e sui servizi di interpretazione e di traduzione in tale Stato membro”. E’ evidente, quindi, che tali informazioni sarebbero inutili qualora si ritenesse che nell’ordine europeo di indagine debbano essere sempre indicati i mezzi di impugnazione esistenti. Pertanto, l’autorità di emissione non è tenuta a fornire una dettagliata descrizione dei mezzi di ricorsi previsti in via generale nell’ordinamento interno, come confermato dall’articolo 14, paragrafo 5 della direttiva 2014/41, in base al quale “l’autorità di emissione e l’autorità di esecuzione si informano reciprocamente sui mezzi di impugnazione contro l’emissione, il riconoscimento o l’esecuzione di un ordine europeo di indagine”. Pertanto, conclude la Corte, l’articolo 14 non richiede che uno Stato membro indichi i mezzi di impugnazione, non precludendo così la possibilità di emissione di un ordine europeo di indagine anche se la normativa nazionale non prevede alcun mezzo di impugnazione che permetta di contestare le ragioni di merito che hanno guidato l’autorità nazionale del Paese di esecuzione a emettere il provvedimento.
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