Nullità del matrimonio e limite dell’ordine pubblico: la convivenza blocca la delibazione

La convivenza che si protrae per oltre tre anni blocca la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio per contrarietà all’ordine pubblico. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14739, depositata il 27 maggio, ha confermato il principio di diritto affermato nel 2014 dalle sezioni unite secondo il quale, poiché la convivenza è un elemento essenziale del matrimonio-rapporto, se si protrae per almeno tre anni dal momento della celebrazione del matrimonio concordatario, impedisce la delibazione perché la dichiarazione di efficacia risulta contraria all’ordine pubblico italiano, “la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato” (14739). A rivolgersi alla Cassazione era stato un marito il quale si opponeva al no pronunciato dalla Corte di appello alla delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico circa la nullità del matrimonio. Precisato che la convivenza non è di per sé una situazione che automaticamente impedisce la delibazione perché, nel caso di vizi genetici, il giudice italiano sarà tenuto a dare efficacia alla pronuncia di nullità, in particolare nei casi di un vizio psichico che renda incapaci e che corrisponda a uno dei motivi previsti dall’ordinamento italiano che giustificano la nullità del matrimonio, la Suprema Corte ha puntualizzato, però, che non basta un qualsiasi deficit della volontà e della personalità perché è necessario che il vizio determini un “difetto di capacità di intendere e di volere previsto dall’articolo 120 del codice civile”: solo in questo caso, infatti, il coniuge non è in grado di valutare la rilevanza e la conseguenza dell’impegno che assume con il matrimonio. Certo, il giudice italiano, in base al Protocollo del 1984 addizionale all’accordo di revisione dei Patti lateranensi del 1929, non può procedere a un riesame nel merito, ma ha comunque il “dovere di controllo della sentenza canonica sotto il profilo della sua eventuale contrarietà con l’ordine pubblico italiano”. Spetta, poi, al giudice italiano che è chiamato a procedere alla delibazione accertare l’esistenza della condizione ostativa costituita dalla convivenza ultra triennale, tenendo conto, però, dei parametri di convivenza richiesti dall’ordinamento italiano e non da quello ecclesiastico. La nozione di convivenza, inoltre, va intesa secondo le regole della Costituzione, dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Respinto così il ricorso e confermato il no alla delibazione della sentenza ecclesiastica.

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