Le autorità nazionali non possono basare la propria decisione sul ritorno del minore sottratto dando rilievo alla sola volontà del bambino. In caso contrario, è certa una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, in particolare, dell’articolo 8 che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Questo perché una simile decisione è indice di un mancato bilanciamento tra i diversi diritti in gioco. E’ quanto stabilito dalla Corte dei diritti dell’uomo nella sentenza depositata il 1° luglio che ha condotto alla condanna della Romania (CASE OF BLAGA v. ROMANIA). Al centro della questione l’applicazione della Convenzione europea a un caso di sottrazione internazionale di minori. Il padre di tre bambini, con cittadinanza rumena e statunitense, si era rivolto a Strasburgo perché la moglie (di identica doppia cittadinanza), dopo aver ottenuto l’autorizzazione del marito a una breve vacanza in Romania, lasciando così gli Stati Uniti, luogo dove la ex coppia risiedeva, non aveva più fatto rientro in patria. L’uomo aveva così avviato le azioni giurisdizionali chiedendo l’applicazione della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980 (atto, come è noto, ratificato dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64). All’esito di una lunga e travagliata vicenda i giudici rumeni avevano deciso il mantenimento in patria dei minori fondandosi sulla loro volontà e sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento. Pur prendendo in considerazione la loro giovane età, i giudici ne avevano constatato la maturità. Una scelta contestata dalla Corte europea che, pur partendo dal presupposto che la Convenzione deve essere interpretata in armonia con i principi di diritto internazionale e con la Convenzione dell’Aja, ha ritenuto che la decisione non potesse essere presa sentendo unicamente i minori, senza bilanciare tra i diritti delle diverse persone coinvolte e senza prove in ordine a un effettivo rischio per il minore in caso di ritorno negli Stati Uniti. E’ vero, infatti, che l’interesse superiore del minore viene prima di tutto ma questo non può essere valutato solo sulla base delle dichiarazioni di minori. I giudici nazionali, poi, osserva la Corte europea, non hanno preso in considerazione altre possibilità che avrebbero potuto meglio contemperare anche il diritto del ricorrente. Di qui la violazione dell’articolo 8 e dell’articolo 6 a causa dei tempi lunghi dei procedimenti interni (anche quello sul divorzio).
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