La latitanza premia. Anche se i fatti al centro della richiesta di estradizione sono di una gravità eccezionale. La pronuncia della Corte di Cassazione francese, depositata il 28 marzo (n. 00286, cour de cassation), che ha confermato il no all’estradizione deciso nel 2020 dalla Chambre de l’Instruction della Corte di Appello di Parigi, la quale aveva bloccato la consegna all’Italia di dieci latitanti condannati per reati gravissimi commessi durante gli anni di piombo, di fatto introduce un principio nuovo e applicabile in modo automatico. La permanenza all’estero per molti anni a seguito della decisione di sottrarsi alla giustizia italiana e l’assenza di legami con il Paese che ha inflitto la condanna, sono in grado di scardinare le esigenze legate al funzionamento della giustizia e ai diritti delle vittime, assicurando così una totale impunità. La Corte di Cassazione, infatti, nel respingere il ricorso del Procuratore (relazione) (parere Avvocato generale), che aveva impugnato il provvedimento della Corte di appello, ha motivato il diniego, in sostanza, tenendo conto che la consegna avrebbe comportato una lesione sproporzionata del diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo proprio perché i condannati erano presenti da molti anni sul territorio francese e avevano “rotto ogni legame con l’Italia”. Il Governo italiano, all’indomani dell’arresto dei condannati avvenuto in Francia che, per anni aveva protetto la latitanza in forza di una non corretta applicazione della discutibile “dottrina Mitterand”, aveva trasmesso, il 20 gennaio 2020, la richiesta di estradizione per consentire l’esecuzione della pena. La richiesta è stata basata sulla Convenzione di Dublino del 27 settembre 1996, volta a realizzare la collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea in materia di estradizione (ratificata ed eseguita dall’Italia con legge 19 luglio 2019 n. 66), sulla Convenzione europea di estradizione, n. 24, adottata dal Consiglio d’Europa il 13 dicembre 1957 (ratificata, con riserva italiana e anche francese, con legge n. 719/1985) e sul Secondo Protocollo, n. 98, del 17 marzo 1978 (ratificato dall’Italia con la stessa legge. I Protocolli, nel complesso, sono quattro) che, all’articolo 3, richiede il rispetto dei requisiti di difesa riconosciuti a ogni persona accusata di un reato. In particolare, tale norma, che si occupa in modo specifico delle sentenze contumaciali, dispone che la richiesta di estradizione per l’esecuzione di una pena pronunciata in contumacia, può essere rifiutata “se, a suo parere, la procedura giudiziale non ha rispettato i diritti minimi della difesa riconosciuti a ogni persona accusata di un reato. L’estradizione sarà nondimeno concessa se la Parte richiedente offre garanzie ritenute sufficienti per assicurare all’estradando il diritto a un nuovo processo che salvaguardi i diritti della difesa”. Sia il Presidente della Repubblica francese Macron, sia l’allora Ministro della giustizia avevano invece espresso un orientamento favorevole all’estradizione, ma i giudici hanno rigettato la richiesta italiana basandosi sugli articoli 6 (equo processo) e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In realtà, la Cassazione sembra far dire alla Cedu ciò che Strasburgo non dice perché fa intendere che in tutti i casi di contumacia è necessario un nuovo processo mentre, in realtà, in diverse occasioni, proprio perché l’obiettivo è assicurare un processo equo e il diritto di difesa e non aprire varchi nella realizzazione della giustizia, ciò non è richiesto se l’imputato, pur essendo a conoscenza del processo a proprio carico, si sia sottratto volontariamente alla giustizia e abbia avuto una difesa adeguata. L’Italia ha già modificato da anni, proprio a seguito delle sentenze della Corte europea, le regole relative alla riapertura del procedimento in caso di contumacia e la stessa Cassazione francese, già nel 2020, aveva stabilito che l’articolo 175 del codice di procedura penale italiano (restituzione in termini) rispetta le condizioni previste dall’art. 695 c.p.p. francese. Basti pensare, d’altra parte che, un condannato, Pietrostefani, per il quale la Cassazione francese ha negato l’estradizione, ha avuto diversi gradi di giudizio ed ha potuto già effettuare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, con decisione del 4 aprile 2003 (ricorso Sofri, Bompressi Pietrostefani) ha dichiarato il ricorso irricevibile ritenendo che non vi era stata alcuna violazione dell’articolo 6 per il solo fatto che alcune prove non erano state valutate in un procedimento.
È poi da evidenziare che la Cassazione francese ha valutato solo il diritto al rispetto della vita privata e familiare dei condannati, non bilanciandolo con quello delle vittime. Con buona pace della giustizia e a tutto vantaggio dell’impunità.
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