No all’ergastolo anche se deciso con sentenza passata in giudicato se contrario alla CEDU

Il giudice dell’esecuzione è tenuto  a non applicare direttamente la pena dell’ergastolo anche se decisa con sentenza irrevocabile. Se la norma interna è dichiarata incostituzionale in quanto contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non è necessario attendere una modifica legislativa, ma spetta direttamente al giudice far prevalere il principio di rango sovraordinato rispetto all’intangibilità del giudicato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezioni unite penali, con sentenza n. 18821 depositata il 7 maggio con la quale la Suprema Corte ha chiarito l’effetto operativo di una pronuncia Cedu anche in relazione a casi identici (18821). Il ricorso in Cassazione era stato presentato da un detenuto condannato all’ergastolo per due omicidi in un’epoca in cui non era consentito l’accesso al rito abbreviato per reati punibili con l’ergastolo. La disciplina era poi cambiata ma il detenuto non si era potuto avvalere di questa modifica, per lui vantaggiosa, che avrebbe comportato la trasformazione della pena, dall’ergastolo a 30 anni di carcere. La Cassazione dà ragione al ricorrente anche alla luce del cambiamento di orientamento avvenuto dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Scoppola contro Italia del 17 settembre 2009. Pur non trattandosi di una sentenza pilota, la Corte ha chiarito che l’articolo 7 della Convenzione europea impone, in base al principio di legalità convenzionale, di applicare la pena meno severa. L’indicato principio di retroattività in mitius è stato confermato dalla pronuncia Morabito contro Italia del 27 aprile 2010, principio che deve essere operativo anche in casi identici. Poi è intervenuta  la Corte costituzionale con la sentenza n. 2010/2013 che ha dichiarato illegittima la norma limitativa della commutazione dall’ergastolo alla pena di 30 anni di carcere per coloro che avevano optato per il rito abbreviato proprio perché contraria all’articolo 7 della Convenzione europea e, quindi, all’articolo 117 della Costituzione. Di qui la conclusione della Corte di cassazione che, nella sentenza del 7 maggio 2014, ha disposto l’obbligo del giudice dell’esecuzione di procedere direttamente alla sostituzione della pena e ha anche affermato che il giudicato interno “non può che essere recessivo di fronte ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona”.

Si vedano i post http://www.marinacastellaneta.it/blog/95.htmlhttp://www.marinacastellaneta.it/blog/le-sentenze-cedu-non-incidono-sulle-pronunce-interne-passate-in-giudicato-se-mancano-i-presupposti-per-laccesso-al-rito-abbreviato.html.

Nessun commento

Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *