Ancora una volta la Corte europea dei diritti dell’uomo bacchetta l’Italia per l’adozione, in campo civile, di leggi con effetti retroattivi che incidono in modo negativo sull’equo processo. Con la sentenza Guadagno contro Italia del 1° luglio l’Italia è stata condannata per violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea per aver compromesso il diritto all’equo processo di alcuni cittadini, che hanno anche ottenuto un risarcimento per il danno materiale (AFFAIRE GUADAGNO ET AUTRES c. ITALIE). Alla Corte avevano presentato ricorso alcuni magistrati amministrativi che, ottenuta la qualifica di consiglieri di Stato, avevano chiesto l’equiparazione salariale. Il Tar, al quale si erano rivolti, aveva dato ragione ai ricorrenti ma, malgrado la pronuncia fosse divenuta definitiva dopo i diversi appelli, il Governo non aveva eseguito la sentenza. Era stata adottata, poi, la legge n. 388/2000 in base alla quale non si poteva più reclamare il diritto all’adeguamento salariale. E questo con effetto anche sulle situazioni passate. L’obiezione del Governo è stata incentrata sulla circostanza che il testo legislativo serviva a determinare un salario omogeneo tra i magistrati e a evitare il cosiddetto galleggiamento. Una giustificazione non ritenuta sufficiente dalla Corte europea la quale ha chiarito che, in taluni casi, in materia civile, è possibile adottare leggi con effetti retroattivi, ma solo “per motivi imperativi di interesse generale” che, nel caso di specie, non sono emersi. Di qui la condanna allo Stato che ha violato il diritto a un processo equo ingerendosi nell’amministrazione della giustizia e compromettendo il principio di parità delle armi. Per la Corte, poi, la misura è stata sproporzionata e ha causato un danno materiale ai ricorrenti. Con la conseguenza che la Corte ha anche condannato lo Stato a risarcire i danni a ciascun ricorrente, per un totale di 286mila euro.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/stop-alle-leggi-con-effetti-retroattivi-adottate-nel-corso-di-processi.html
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