La collettività ha diritto di ricevere informazioni su questioni di interesse generale, inclusi i procedimenti penali in corso perché deve poter esercitare il proprio diritto a supervisionare il funzionamento della giustizia penale. E questo – scrive la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza del 13 dicembre, RTBF contro Belgio (ricorso n. 417/15, AFFAIRE RTBF c. BELGIQUE N° 2) – anche quando la vicenda al centro di un reportage televisivo è ancora nella fase iniziale di un’inchiesta. Inoltre, l’assenza di comunicazioni ufficiali da parte delle autorità inquirenti porta la Corte di Strasburgo a tutelare in modo ancora più ampio l’attività del giornalista che permette la diffusione di informazioni di interesse generale anche mettendo in guardia la collettività da alcuni rischi, con una sostanziale prevalenza della libertà di stampa sul diritto alla presunzione di innocenza. Questi i fatti. La radiotelevisione pubblica belga (RTBF) era stata citata in giudizio, in sede civile, da una coppia la quale sosteneva che era stato violato il loro diritto alla presunzione di innocenza perché l’emittente aveva trasmesso un reportage su presunti abusi sessuali nei confronti di minori e sul ruolo, in qualità di organizzatori di incontri di wrestling femminile, della coppia. Nel servizio televisivo si sottolineava che gli incontri si erano svolti anche nella palestra di una scuola. Il giornalista aveva saputo della presentazione di una denuncia da parte di una ragazza e aveva svolto un’inchiesta dalla quale risultava che alcuni incontri di lotta erano stati registrati e poi commercializzati. Il reporter era stato avvertito di una perquisizione nell’abitazione della coppia e aveva effettuato delle riprese mentre la polizia entrava nella casa dei coniugi i quali, in seguito, avevano accettato di essere intervistati dall’autore del servizio. Tuttavia, successivamente i coniugi si erano rivolti ai giudici civili chiedendo un risarcimento per i danni subiti a causa di quello che loro definivano un “linciaggio mediatico”. I giudici belgi, in primo grado, avevano condannato la società televisiva a versare 2.500 euro, somma ridotta a un euro simbolico da parte della Corte di appello. L’azienda televisiva riteneva leso l’articolo 10 della Convenzione (che tutela il diritto alla libertà di espressione) e ha fatto ricorso alla Corte europea che ha fatto prevalere la tutela della libertà di stampa proprio in ragione dell’interesse pubblico delle informazioni trasmesse e per la circostanza che, proprio grazie al servizio televisivo, la collettività era informata sul funzionamento del sistema giudiziario penale e sui pericoli che potevano correre le ragazze. Nei casi in cui un servizio televisivo o un articolo di stampa ha al centro questioni di interesse generale, il margine di apprezzamento delle autorità nazionali nel disporre misure limitative della libertà di espressione è ristretto e può essere ammesso solo se lo Stato dimostra l’esigenza di salvaguardare un bisogno sociale imperativo che va provato con un esame particolarmente rigoroso. Nel caso al centro della pronuncia di Strasburgo, la Corte europea riconosce che la coppia non era costituita da personaggi pubblici tenendo conto che il marito era l’ex direttore di un istituto scolastico, ma – osserva Strasburgo – la coppia aveva accettato di essere intervistata da un giornalista di una tv nazionale, acconsentendo così a “finire sotto i riflettori”, con la conseguenza che “la legittima aspettativa ad avere una vita privata protetta era limitata”. La Corte europea boccia anche l’operato dei giudici nazionali per la valutazione delle modalità con le quali il giornalista ha ottenuto le notizie sul caso perché la tutela delle fonti prescinde dalle modalità con le quali sono state acquisite le informazioni. Il giornalista – prosegue la Corte di Strasburgo – aveva ottenuto le informazioni sulla perquisizione nell’abitazione dell’insegnante coinvolto “da fonti giudiziarie che il cronista poteva legittimamente aspettarsi di non dovere divulgare”. Per quanto riguarda i filmati connessi alla perquisizione, le parti interessate non avevano dato alcun consenso alle riprese, ma il loro utilizzo deve essere considerato tenendo conto dell’intero reportage, valutando che la maggior parte del servizio era dedicata alle interviste alle ragazze coinvolte e alla stessa coppia. La Corte di Strasburgo tutela il giornalista anche per la scelta del titolo – “Direttore di scuola o pervertito? Dottor Jekyll o Mister Hyde?” – che non poteva essere considerato in contrasto con la presunzione d’innocenza perché – osservano i giudici internazionali – è stato aggiunto il punto interrogativo e altre precauzioni. I titoli dei servizi erano provocatori perché contenevano un giudizio di valore del giornalista sulle informazioni raccolte durante la sua inchiesta, “ma non hanno distorto o fuorviato gli spettatori sulle informazioni raccolte”. Inoltre, il linguaggio del giornalista era stato incisivo, ma non volgare o ingiurioso, e non può essere considerato come un attacco gratuito, tanto più che il giornalista aveva una base fattuale sufficiente. Così come è giustificabile l’uso del nome completo della persona interessata perché questo è un aspetto importante per la libertà di stampa. Sul fronte della presunzione d’innocenza (articolo 6, par. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), Strasburgo non condivide la conclusione dei giudici nazionali secondo i quali vi era stata una violazione dell’indicato diritto anche per il tono sarcastico utilizzato nel servizio perché non spetta né alla Corte, né ai tribunali nazionali sostituirsi alla stampa nel decidere quale tecnica di informazione utilizzare, tanto più che l’articolo 10 protegge non solo il contenuto delle informazioni espresse, ma anche le modalità e lo stile scelto. Il giornalista non aveva mai affermato che le accuse nei confronti della coppia erano state provate e aveva ribadito che i coniugi erano presunti innocenti. Di qui la correttezza dell’operato del giornalista e il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione europea.
Molto importante l’intervento della Corte europea sulla valutazione del quadro sanzionatorio perché per Strasburgo anche se l’emittente era stata condannata a versare solo un euro simbolico di risarcimento, l’intervento sanzionatorio ha in sé un effetto dissuasivo sul ricorrente e, in generale, sulla libertà di stampa. Di qui la condanna dello Stato in causa che dovrà versare all’azienda radiotelevisiva 54.600 euro per le spese sostenute nel corso dei processi.
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