Il rifiuto alla consegna approda nuovamente dinanzi alla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 34819, sezione feriale, del 10 agosto, ha accolto il ricorso di un cittadino bulgaro il quale aveva impugnato la sentenza della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto (34819). Quest’ultima aveva respinto la richiesta di esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria bulgara a seguito di una sentenza di condanna a sei anni di reclusione per il reato di truffa. I giudici di appello avevano ritenuto applicabile la causa di rifiuto facoltativo alla consegna in quanto il cittadino bulgaro risiedeva in Italia da oltre cinque anni e qui aveva interessi lavorativi e familiari ormai consolidati. La Corte di appello, inoltre, aveva riconosciuto la sentenza in Italia ordinandone l’esecuzione conformemente al dritto interno. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’uomo e ha ritenuto che i giudici di appello non potessero pronunciarsi sulla base del solo stralcio della sentenza di condanna, senza aver ottenuto la pronuncia completa e una traduzione che facesse comprendere gli elementi costitutivi del reato di truffa o quelli della frode pure citata nella pronuncia. In mancanza della sentenza – scrive la Cassazione – la Corte territoriale “non ha neppure potuto operare la valutazione che il suindicato articolo impone in merito al giudizio sulla durata e natura della pena erogata”, e sulla sua compatibilità con la pena prevista in Italia per reati simili.
Per quanto riguarda l’applicazione della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate in base alla quale è possibile o la conversione della condanna con altra prevista dallo Stato di esecuzione per lo stesso reato o la continuazione della condanna, poiché l’Italia, in sede di ratifica, aveva dichiarato di applicare il regime della continuazione, il giudice non doveva convertire la pena inflitta dal giudice straniero, “ma semplicemente recepirla”, eventualmente con un circoscritto adattamento. Nel caso in esame, inoltre, proprio a causa dell’assenza del testo integrale della sentenza bulgara, la rideterminazione della pena era avvenuta in modo erroneo perché l’uomo era stato condannato a sei anni per truffa, con una pena molto superiore al massimo prevista dall’articolo 640 del codice penale. La Corte di appello, quindi, non aveva proceduto all’adattamento necessario, con la conseguenza che il ricorso è stato accolto e la sentenza annullata con rinvio a un nuovo giudizio della Corte di appello di Lecce.
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