Con ordinanza n. 1782, la quinta sezione penale, il 15 gennaio ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187-bis del Dlgs 24 febbraio 1998 n. 58 per contrarietà all’articolo 117 della Costituzione il cui contenuto, in quest’occasione, è costituito dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato e che funge da norma interposta, idonea a definire il parametro di costituzionalità (1782_01_2015). In via subordinata, la questione di costituzionalità è stata posta anche con riguardo all’articolo 649 del codice di procedura penale che non prevede il divieto di un secondo giudizio nel caso in cui l’imputato sia stato già giudicato con pronuncia irrevocabile nel corso di un procedimento amministrativo che commina una sanzione qualificabile come penale ai sensi della Convenzione europea. Per la Suprema Corte, alle prese con un nuovo caso di abusi di mercato e diffusione di informazioni privilegiate e l’applicazione di sanzioni penali e amministrative, respinto ogni tentativo di limitare la portata della pronuncia Grande Stevens al caso specifico oggetto della sentenza, risulta chiara l’incompatibilità del sistema italiano con la Convenzione. E’ vero che nella sentenza Grande Stevens non è stata chiesta formalmente nel dispositivo l’adozione di misure generali ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, ma devono essere rimosse le situazioni di incompatibilità con il dettato di Strasburgo. In linea con quanto già scritto dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 210 del 2013, aveva precisato che non è necessario che le sentenze CEDU indichino in modo specifico misure generali se queste sono una “necessaria conseguenza della violazione strutturale della CEDU da parte della legge nazionale”. E non c’è dubbio che Strasburgo ha ormai consolidato la propria giurisprudenza sia nel senso di obbligare a qualificare le sanzioni come amministrative o penali non in base al mero dato formale e alla qualificazione interna ma sulla base dei parametri fissati nella sentenza Engel del 1976, sia nel senso di bloccare doppie sanzioni in relazione a uno stesso fatto, anche se l’ordinamento nazionale lo consente.
Oltre al caso Grande Stevens, l’applicabilità del divieto del ne bis in idem nei casi in cui si svolgano due procedimenti uno penale e l’altro amministrativo, è stato affermato nella sentenza Nykänen contro Finlandia del 20 maggio 2014. In quell’occasione, la Corte ha stabilito la contrarietà alla Convenzione europea nei casi in cui le autorità nazionali, dopo aver comminato una sanzione tributaria come il pagamento di una sovrattassa, avviano un procedimento penale per frode fiscale. Così, nella sentenza Lucky Dev contro Svezia, nel caso di infrazioni fiscali che portano a un procedimento amministrativo e a uno penale, i giudici internazionali hanno ribadito che, in base al Protocollo, non sono ammissibili doppi procedimenti giudiziari per reati derivanti dallo stesso fatto o da fatti che sono sostanzialmente gli stessi, intrinsecamente legati nel tempo e nello spazio, nei casi in cui un processo si sia già concluso con una decisione finale.
Analoga questione è stata sollevata dalla Corte di cassazione, sezione tributaria civile, con l’ordinanza n. 950 del 21 gennaio 2014 (950).
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