La Corte costituzionale è intervenuta nuovamente sui rapporti tra diritto interno e Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E lo ha fatto con la sentenza n. 200/2016 del 21 luglio 2016 relativa al principio del ne bis in idem e all’eventuale contrasto tra la formulazione di cui all’articolo 649 del codice di procedura penale e quella prospettata come più favorevole di cui all’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (200:2016). E’ stato il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, con riferimento al processo Eternet, con ordinanza del 24 luglio 2015, a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 649 c.p.p. con riferimento all’articolo 117 della Costituzione e, quindi, all’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea. In particolare, secondo il giudice a quo, la limitazione all’applicazione del principio, che risulterebbe dall’art. 649, all’esistenza del medesimo fatto giuridico nei suoi elementi costitutivi con riguardo alla sola condotta dell’agente, senza tener conto, invece, dell’esistenza del medesimo “fatto storico”, è contraria alla Convenzione e, quindi, all’articolo 117 della Costituzione. La Consulta ha ritenuto non fondata l’interpretazione prospettata dal giudice. Ed invero, dalla prassi giurisprudenziale interna non risulta che l’articolo 4 del Protocollo, che recepisce il criterio dell’idem factum e non dell’idem legale, abbia un campo applicativo diverso o più favorevole all’imputato rispetto all’articolo 649 c.p.p. La Corte costituzionale ha rilevato che il riferimento al fatto, nella giurisprudenza della CEDU, non è limitato all’azione o alla omissione e comprende, invece, “l’oggetto fisico su cui cade il gesto” tanto da poter comprendere anche l’evento naturalistico che ne consegue. La Corte europea dei diritti dell’uomo, poi, con riferimento alla concezione dell’idem factum non ha precisato in modo chiaro se detta concezione sia limitata alla condotta dell’agente “ovvero abbracci l’oggetto fisico, o anche l’evento naturalistico” tant’è che, in diverse occasioni, Strasburgo ha fatto riferimento alla stessa vittima. Di conseguenza, la Consulta conclude che “non si può isolare con sufficiente certezza alcun principio”, potendosi così fare riferimento alla condotta dell’agente, ma anche all’oggetto fisico dell’evento nella sola dimensione materiale. La Convenzione – prosegue la Consulta – impone agli Stati di applicare il ne bis in idem “in base a una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente”. Di conseguenza, in assenza di una giurisprudenza europea univoca, l’interprete deve fare riferimento al solo rilievo storico naturalistico del fatto. Detto questo, però, i giudici costituzionali ritengono che siano presenti alcuni elementi di contrasto in ragione di alcuni orientamenti che si fondano sull’applicazione del principio ai soli casi in cui vi sia un idem legale con un’evidente incompatibilità con la Convenzione e con la stessa Costituzione. Per quanto riguarda l’ulteriore profilo di contrasto tra l’articolo 649 c.p.p. e l’articolo 4 del Protocollo n. 7 in relazione agli orientamenti che vietano di applicare il principio del ne bis in idem “ove il reato già giudicato sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa del pubblico ministero nonostante la medesimezza del fatto”, la Corte ritiene questa posizione incompatibile con la CEDU se il fatto storico è lo stesso, tenendo conto che le uniche deroghe ammissibili in ordine alla preclusione del giudicato rispetto alla nuova azione penale sono solo quelle elencate dal comma 2 dell’articolo 4, del Protocollo n. 7. Questo vuol dire che il giudice deve considerare la triade condotta-nesso causale-evento naturalistico e considerare l’idem se c’è coincidenza di tutti questi elementi “assunti in una dimensione empirica”. Pertanto, esiste un contrasto dell’articolo 649 con l’articolo 117 della Costituzione se è esclusa l’applicazione del ne bis in idem per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, mentre l’articolo 4 del Protocollo n. 7 vieta di procedere nuovamente quando il fatto storico è lo stesso. Solo per questa parte, quindi, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalià dell’art. 649 c.p.p.
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