Le misure di austerity decise da un Governo per fronteggiare una grave crisi economica sono compatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A patto, però, che siano proporzionate e delimitate sotto il profilo temporale. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo con la decisione del 27 luglio (ricorso n. 75916/13, MOCKIENE v. LITHUANIA) con la quale la Corte ha affermato che il taglio alle pensioni deciso dalla Lituania non contrasta con il diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea. E questo, in particolare, se i tagli riguardano una pensione per la quale non è stato versato alcun contributo.
Era stata un’agente penitenziaria in pensione a presentare ricorso perché, a seguito della grave crisi economica mondiale, la Lituania aveva adottato una legge con la quale le cosiddette pensioni di servizio, corrisposte per le attività a favore dello Stato, dovevano essere ridotte. La donna aveva subito una riduzione del 15% per un periodo di 3 anni e la Corte costituzionale aveva ritenuto legittimo il sistema. Di qui il ricorso alla Corte europea che, però, ha dato torto alla donna e dichiarato il ricorso irricevibile. Nessun dubbio – osserva la Corte – che la misura statale è un’ingerenza nel diritto di proprietà della dipendente che, per di più, aveva una legittima aspettativa a ricevere la pensione. Giusto, quindi, invocare l’articolo 1 del Protocollo n. 1 perché la donna era titolare di un diritto alla pensione di servizio grazie alla quale percepiva 247 euro. Detto questo, però Strasburgo ritiene che, a causa del deficit e della grave crisi economica, l’ingerenza delle autorità lituane, che aveva portato a una decurtazione della pensione di servizio, persegue un fine legittimo perché ha, come obiettivo, la tutela di un interesse pubblico come la riduzione della spesa pubblica. Senza dimenticare che le autorità lituane hanno raggiunto un giusto equilibrio tra i diritti fondamentali della ricorrente e l’interesse generale della società, inclusa la necessità di garantire altre prestazioni. D’altra parte – osserva la Corte – la riduzione è stata limitata dal punto di vista dell’entità e degli effetti temporali perché, in base alle regole introdotte, la riduzione non poteva estendersi per un periodo superiore ai 4 anni. Le misure lituane superano, poi, il vaglio della Corte circa la proporzionalità dell’ingerenza. La riduzione dell’importo della pensione di servizio, infatti, non privava la donna dei mezzi di sussistenza, situazione che avrebbe comportato una violazione della Convenzione. Inoltre, la Corte considera che i tagli riguardavano un vantaggio particolare concesso a una determinata categoria di persone che, per di più, non era legato ad alcun versamento di contributi. In pratica, la ricorrente manteneva la sua pensione, ma aveva perso unicamente un beneficio. Una serie di elementi che fa dire alla Corte che non si è verificata una violazione del diritto di proprietà.
Esclusa anche la violazione dell’articolo 14 che vieta ogni forma di discriminazione anche perché, per la Corte, non è possibile paragonare categorie diverse ossia coloro che ricevono una pensione di servizio e chi ha una pensione di vecchiaia.
Si veda il post http://www.marinacastellaneta.it/blog/per-la-cedu-i-tagli-ad-alcune-pensioni-sono-compatibili-con-la-convenzione-europea.html
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