Messa alla prova e sottrazione internazionale: l’assenza di disposizioni transitorie non contraria alla CEDU

Giusta la condanna per sottrazione internazionale di minore se la donna che impedisce il diritto di visita del padre, portando le figlie all’estero, accusa in modo generico l’ex marito di abusi sessuali verso le figlie, malgrado la sua assoluzione. Lo ha precisato la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 51050/15 depositata il 29 dicembre (51050:15). A rivolgersi alla Suprema Corte una cittadina rumena che era stata condannata dalla Corte di appello di Milano per sottrazione internazionale di minori, avendo condotto le figlie in Romania e impedito al padre di vederle, malgrado il diritto di visita a lui assicurato. La Suprema Corte non solo ha rigettato il ricorso in ragione dell’assoluzione del padre dalla generica accusa di abusi sessuali, ma ha anche precisato che non è possibile chiedere alla Corte di appello o alla Cassazione la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’articolo 168-bis del codice penale tanto più che il procedimento era pendente alla data dell’entrata in vigore delle modifiche dell’istituto. Per la Suprema Corte, in questo caso, non si configura alcuna violazione del principio di retroattività della lex mitior, come confermato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 240/2015 con la quale la Consulta ha precisato che l’assenza nella legge 28 aprile 2014 n. 67 di una disciplina transitoria “che consenta di superare il principio tempus regit actum non è censurabile in forza dell’articolo 7 della CEDU”.

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