Maternità surrogata: l’ingresso del neonato in un Paese può essere limitato per accertare la filiazione

Nessuna violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei casi in cui le autorità nazionali di uno Stato parte impediscano l’accesso di un bambino nato da una maternità surrogata in un altro Stato. E’ quanto ha stabilito la Corte di Strasburgo nella decisione dell’8 luglio diffusa dalla Corte il 9 settembre, relativa al ricorso n. 29176/13 nel caso D. e altri contro Belgio con la quale i giudici internazionali hanno respinto il ricorso di due genitori i quali contestavano al Belgio la violazione dell’articolo 3, relativo al divieto di trattamenti disumani e degradanti, e dell’articolo 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare per aver impedito, in un primo momento, l’ingresso in Belgio del neonato (D. ET AUTRES c. BELGIQUE). Questo il caso. Una coppia belga aveva stipulato un accordo di maternità surrogata con una donna, in Ucraina. Alla nascita del neonato, la coppia aveva ottenuto il certificato di nascita a Kiev dal quale i due coniugi risultavano come genitori. Avevano chiesto all’ambasciata belga in Ucraina il passaporto per il neonato per rientrare in patria, ma la richiesta era stata respinta. Anche il Tribunale di Bruxelles aveva rigettato l’istanza e aveva negato il riconoscimento del provvedimento ucraino. Questo perché non risultava provato il rapporto di filiazione con i due ricorrenti e, in base alla legge di diritto internazionale privato belga (art. 27), la filiazione non poteva essere stabilita sulla base dell’atto di nascita ucraino. La coppia era così rientrata in Belgio senza il neonato. Di qui il ricorso alla CEDU che, però, ha dato ragione al Belgio che, in base alle regole convenzionali, gode di un ampio margine di discrezionalità. Per la Corte, le autorità nazionali hanno giustamente richiesto prove adeguate volte ad accertare il legame con la coppia dei ricorrenti anche per combattere la tratta degli esseri umani. Un fine legittimo che ha comportato ulteriori accertamenti. Tuttavia, una volta ottenute le prove, il Belgio ha dato il via libera all’emissione del documento d’identità e all’ingresso in Belgio del bambino. Esclusa, quindi, la violazione della Convenzione.

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