Mandato di arresto europeo: sì alla consegna se sono fornite informazioni minime sufficienti a permettere i controlli

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 40154 depositata il 30 ottobre, è intervenuta a precisare le informazioni formali minime che devono essere contenute nel mandato di arresto europeo secondo la decisione quadro 2002/584, modificata dalla n. 2009/299/GAI, chiarendo che la procedura di consegna non legittima un sindacato sui presupposti del provvedimento cautelare alla base della richiesta proveniente dallo Stato di emissione (40154).

A rivolgersi alla Suprema Corte è stato il destinatario del mandato di arresto europeo deciso dalla Corte di appello di Firenze che aveva autorizzato la consegna del ricorrente all’Autorità giudiziaria polacca la quale aveva emesso un mandato di arresto per l’esercizio dell’azione penale per reati di partecipazione ad organizzazione criminale in relazione ai quali l’autorità polacca avrebbe predisposto un periodo di arresto provvisorio di 14 giorni. L’uomo sosteneva che nel mandato di arresto europeo non erano state descritte in modo dettagliato le circostanze della commissione del reato, in contrasto con l’articolo 6 della legge n. 69/2005 con la quale è stata recepita la decisione quadro 2002/584, legge poi modificata dal decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021.

Per la Suprema Corte, invece, i giudici di appello hanno correttamente ritenuto che le informazioni richieste dall’articolo 6 si riferivano a informazioni formali minime per fare in modo che l’autorità giudiziaria possa procedere in tempi brevi al mandato di arresto europeo. La descrizione delle circostanze, quindi, deve essere “soltanto tale da permettere allo Stato richiesto della consegna di eseguire i controlli demandatigli dalla legge”. Inoltre – prosegue la Cassazione – con il decreto legislativo n. 10 del 2 febbraio 2021 è stata eliminata la richiesta di indicare “un compendio indiziario ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna”, con la conseguenza che non è più richiesta una relazione sui fatti con l’indicazione delle fonti di prova e non è più richiesto un riferimento ai “gravi indizi di colpevolezza” come presupposto per l’esecuzione di un mandato di arresto processuale, la cui assenza non è più legittimo motivo di rifiuto alla consegna. La Cassazione ha anche respinto il motivo di ricorso basato sul mancato rispetto dello Stato di diritto in Polonia perché per impedire la consegna è necessario che sussista un rischio con riferimento al singolo caso e che vi siano “motivi seri e comprovati per ritenere che la persona richiesta corra, a seguito della consegna, un rischio reale di violazione dei suoi diritti fondamentali”. D’altra parte, la stessa Commissione europea ha revocato la procedura avviata nei confronti della Polonia per violazione dello Stato di diritto. Con riguardo ai rischi di trattamenti detentivi inumani, la Cassazione precisa che le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo indicate dal ricorrente si riferivano al 2009 e che, in ogni caso, il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa del 25 luglio 2018 ha ritenuto che le condizioni materiali negli istituti detentivi fossero accettabili, pur auspicando un miglioramento. Respinto così il ricorso e confermata la decisione di consegna.

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