La parola alla Corte di giustizia dell’Unione europea chiamata a chiarire le modalità di applicazione del mandato di arresto europeo nel caso in cui sia coinvolta una donna, madre di un bambino di tre anni. La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con ordinanza n. 15143, depositata il 19 aprile 2022, ha deciso di rivolgersi a Lussemburgo prima di pronunciarsi sulla consegna di una donna, madre di un bambino con lei convivente in Italia (15143). Il mandato di arresto era stato emesso dall’autorità giudiziaria belga nei confronti di una cittadina nigeriana condannata a cinque anni di reclusione dal Tribunale di Anversa per il reato di tratta di esseri umani. La donna viveva in Italia ed era stata arrestata a Bologna. Il figlio, con lei convivente, era stato affidato ai servizi sociali. La cittadina nigeriana si era opposta alla consegna e, dopo alcuni accertamenti, la Corte di appello di Bologna aveva rifiutato l’esecuzione del mandato di arresto, ritenendo che non vi fossero certezze sulla tutela del diritto della madre a non essere privata del rapporto con il figlio di tre anni. Era stata così revocata la misura cautelare.
Il Procuratore generale ha impugnato la sentenza. La Corte di Cassazione ha ritenuto di sospendere il procedimento e chiedere alla Corte Ue di chiarire l’interpretazione della decisione quadro n. 2002/584, come modificata dalla 2009/299/GAI, sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra Stati membri, recepita in Italia con legge n. 69/2005, poi modificata dal decreto legislativo 2 febbraio 2021 n. 10. In particolare, con l’articolo 14 di tale decreto legislativo è stato sostituito l’articolo 18 della legge n. 69/2005 che aveva introdotto motivi di rifiuto obbligatorio alla consegna non previsti nella decisione quadro. Così, è stato eliminato il rifiuto alla consegna di madre incinta o con bambini di età inferiore a tre anni. Questo porterebbe alla consegna della donna, ma si pongono talune questioni relative alla tutela dell’interesse superiore del minore e alla protezione di diritti fondamentali che richiedono l’esistenza nel Paese di origine di forme di tutela del rapporto genitori-figli analoghe a quelle previste nell’ordinamento italiano. Per la Cassazione, quindi, si tratta di accertare se possa essere applicato l’articolo 2 della legge n. 69 che impedisce la consegna nei casi in cui ciò possa comportare la violazione di “principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla costituzione…”, nonché della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Inoltre, come stabilito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 216 del 2021, devono essere considerati i diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione, con particolare riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dalle stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Pertanto, tenendo conto della necessità di individuare uno standard comune definito a livello europeo di tutela dei diritti fondamentali per l’applicazione dell’articolo 2 della legge n. 69, la Cassazione ha chiamato in aiuto gli eurogiudici. Tanto più – osserva la Cassazione – tenendo conto della necessità di adottare una decisione nel rispetto dell’interesse superiore del minore che trova riconoscimento sia nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sia nella Costituzione italiana. Si porrebbe così una questione di doppia pregiudizialità che rende opportuno il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue “proprio in ragione della necessità prioritaria di chiarire lo standard di tutela comune offerto sul punto dal diritto dell’Unione”. La Cassazione ha chiesto anche ai giudici di Lussemburgo di decidere con procedimento accelerato.
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