Maltrattamenti delle forze dell’ordine: condanna all’Italia per trattamenti disumani e degradanti

Un uso ingiustificato della forza durante un arresto causa all’Italia una condanna per trattamenti disumani e degradanti. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza depositata ieri nel caso Alberti contro Italia (ricorso n. 15397/11, AFFAIRE ALBERTI c. ITALIE) ha accertato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea ritenendo che la frattura di tre costole provocata a un individuo sottoposto a fermo e condotto in una cella di sicurezza dai Carabinieri rappresenta un uso non giustificato della forza. A Strasburgo si era rivolto un individuo che era stato fermato dai carabinieri in quanto, in stato di ebrezza, si era rifiutato di fornire  documenti e generalità alle forze dell’ordine. Il ricorrente era stato portato in una cella di sicurezza dai Carabinieri e poi processato per direttissima per minaccia e resistenza a pubblico ufficiale,  ma aveva denunciato di essere stato percosso. I medici gli avevano diagnosticato la frattura di 3 costole e un ematoma al testicolo, con una diagnosi di 20 giorni. Dopo la sua denuncia, a seguito di un’indagine, il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione del caso sulla quale il gip era stato d’accordo. Di qui il ricorso a Strasburgo che ha dato invece ragione al ricorrente. Per la Corte si è verificato un uso eccessivo della forza fisica da parte dei carabinieri che, stando alla ricostruzione dei fatti, doveva essere avvenuto mentre il ricorrente era stato trasportato in un’autovettura delle forze dlel’ordine dal bar dove il ricorrente aveva dato in escandescenza al comando dei carabinieri. Ma c’è di più. La Corte europea, infatti, ha stabilito che lo Stato non ha rispettato la Convenzione neanche nella fase d’indagine, conducendo un’inchiesta superficiale e soffermandosi unicamente su quanto avvenuto nel bar e non nella fase successiva. Inoltre, l’autorità giudiziaria, per Strasburgo, ha attribuito un peso eccessivo ai precedenti e alla personalità del ricorrente, considerandolo a priori poco credibile. Di qui la conclusione che l’inchiesta è stata condotta senza la diligenza dovuta e la constatazione di una violazione dell’articolo 3 anche per gli aspetti procedurali. Strasburgo ha riconosciuto al ricorrente un indennizzo pari a 15mila euro e 4mila euro per le spese processuali.

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